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Appunti per una riforma del sistema previdenziale

di Angelo Giubileo 
Il nostro sistema di previdenza è costruito su tre pilastri, due a contribuzione obbligatoria ed uno ad iniziativa volontaria mediante adesione a forme assicurative o finanziario-assicurative quali Pip, polizze unit-linked o index-linked. Va anche precisato che, con l’avvento del decreto legislativo 252/05, la differenza tra secondo e terzo pilastro tende a scomparire, date le condizioni di vantaggio, soprattutto in termini di tassazione, introdotte per le forme pensionistiche complementari, secondo la dizione recepita nel testo del decreto medesimo.
In questi ultimi venti anni, a partire dalla legge delega 421/92, il sistema generale di previdenza ha subito rilevanti e continue
modifiche, alla ricerca sostanziale di un equilibrio relativo al crescente fabbisogno di spesa.A garanzia del principio di solidarietà, insito in un sistema a ripartizione – in base al quale con le risorse contributive dei
lavoratori in attività di servizio si provvede al fabbisogno di spesa per il pagamento delle pensioni dei lavoratori non in attività di
servizio, per anzianità, vecchiaia, invalidità o disoccupazione involontaria – a fronte del fabbisogno di spesa crescente (in rapporto
al Pil, per il periodo dal 1989 al 2010 in media dall’11% al 15%: cfr., Rapporto 2012 del Nucleo di valutazione della spesa previdenziale),
durante il periodo a cui si è fatto riferimento è stato necessario introdurre elementi di capitalizzazione delle risorse, in modo cioè da
rendere innanzitutto produttive quelle già esistenti e quindi implementarle.

Le riforme di questi anni hanno pertanto introdotto nei diversi ambiti, pensionistico e previdenziale, misure quali:

● il metodo di calcolo contributivo per le pensioni (legge n. 335/95);

● il Tfr nel pubblico impiego (Dpcm, Decreto del presidente del Consiglio dei ministri, 2/3/2001);

● una generale riforma dei sistemi di previdenza complementare, distinta per i settori di lavoro privato (decreto legislativo 252/05) e
pubblico (decreto legislativo 124/93), con misure tuttavia che, ad esempio, a livello di tassazione delle prestazioni, non giustificano affatto ancora oggi una persistente differenza di trattamento.

Come si diceva, queste modifiche sono sempre state orientate dall’esigenza di contenere il fabbisogno di spesa crescente, cosa che, nel tempo e nel complesso, ha portato soprattutto ad una riduzione dei tassi di sostituzione, ovvero la misura del rapporto tra il primo assegno di pensione e l’ultimo assegno di stipendio.

L’insieme di queste misure, da un punto di vista dell’equilibrio finanziario di sistema, si è rivelato tuttavia insufficiente; così che di recente le modifiche introdotte dalla legge n. 214/2011 (riforma Fornero) hanno ampliato l’applicazione del metodo contributivo con il sistema pro-quota e soprattutto hanno innalzato l’asticella per il
conseguimento del diritto a pensione, attraverso un meccanismo di rigidità in opposizione a quello flessibile previsto dalla Riforma Dini (legge n. 335/95) e solo in parte dal meccanismo delle quote di cui già alla legge Maroni (n. 243/2004). E questo, dopo che la legge n. 122/2010 aveva già introdotto differenti meccanismi di computo delle prestazioni di ricongiunzione, implementando gli oneri a carico degli iscritti.

Nonostante tutto questo, sempre tenendo presente quello che è l’obiettivo dell’equilibrio finanziario di un sistema a ripartizione, anche le recenti misure sono tuttavia da ritenersi inadeguate. L’equilibrio di sistema richiede infatti un patto tra le generazioni, in grado di ridistribuire le risorse tra i due diversi insiemi di lavoratori in attività di servizio e lavoratori che non sono o non sono più in attività di servizio.

A tal fine, la via maestra rimane quella dell’armonizzazione dei trattamenti; e da questo punto di vista, ad esempio, la risposta del governo con il Decreto del presidente del Consiglio dei ministri 185/2012 alla sentenza della Corte Costituzionale n. 223/2012 sulla trattenuta del 2,50% in materia di Tfr nel pubblico impiego, costituisce un classico caso di rimedio peggiore del male, in quanto reintroduce una diversità di trattamenti di fine servizio, e quindi di calcolo della liquidazione, tra diverse categorie di lavoratori dello stesso settore pubblico e di questi rispetto ai lavoratori del settore privato.
Esiste, già da troppo tempo, un problema di redistribuzione delle risorse, che è cosa diversa dalla disponibilità di risorse adeguate in grado di mantenere in equilibrio il sistema. L’innalzamento dell’età pensionabile, così come promosso dalla legge Fornero con un meccanismo di rigidità quasi assoluto, rappresenta una scelta politica che ha lo scopo innanzitutto di fare cassa nel breve periodo e rinviare invece i problemi di equilibrio e stabilità strutturali del sistema in data successiva.
Infatti, il sistema di previdenza attuale nel suo insieme necessita piuttosto di misure che favoriscano innanzitutto la produzione e quindi nuova occupazione e, per ragioni di equità tra le diverse generazioni, soprattutto nuova occupazione giovanile. È, questa, un’opzione incontestabile e non più procrastinabile. Prova ne sono sia l’
incremento tendenziale del tasso di disoccupazione, soprattutto giovanile, che la variazione del tasso demografico riferito alla popolazione del territorio. Nel 2010, secondo l’Ocse, in Italia, per ogni persona in età da pensione (+ 65) sono presenti appena 2,6 persone in età lavorativa (20-64). Lo stesso Rapporto registra poi anche il tasso di fecondità, pari in Italia a 1,4 figli per donna rispetto alla media Ocse di 1,7; concludendo che nel 2050 il rapporto tra le persone in età compresa tra 20 e 64 anni e quelle con età superiore a 65 anni scenderebbe a 1,5. Ovvero, 3 lavoratori per 2 pensionati.
Pertanto, in materia di proposte di principio, tralasciando in questa sede l’indicazione di misure d’intervento resesi necessarie anche in ordine a temi controversi, come, ad esempio, in materia di ricongiunzioni, ritengo si debba intervenire soprattutto in due modi:
•reintrodurre, nella materia pensionistica, un principio di flessibilità in uscita, in modo da favorire il turnover e nel contempo contenere la spesa necessaria. Di guisa che si potrebbe partire con la discussione del testo (Testo unificato C. 5103 Damiano, C. 5236 Dozzo, C. 5247 Paladini) approvato in Commissione Lavoro della Camera il 7
agosto scorso;
• favorire e promuovere l’adesione al sistema di previdenza complementare, laddove l’adesione da parte dei lavoratori, privati e pubblici, è oggi pari al dato complessivo del 25% circa, praticamente solo 1 su 4. In tal caso, si potrebbe avviare la discussione tenendo presente che il nostro sistema di tassazione, oltre alle ingiustificate differenze a cui si accennava in regime di prestazioni distinte per settore di lavoro privato e pubblico, differisce anche dal sistema in
generale vigente nel resto dell’Europa, dove è diffusissimo il sistema EET (esenti i contributi, esenti i rendimenti, tassate le prestazioni),
invece che ETT (esenti i contributi, tassati i rendimenti, tassate le prestazioni).

Scritto da

Redazione LPP

- Redazione de La Prima Pietra