Condividi:

" />
1 Mar 2013

Chi pensa al futuro?

Agisci in modo tale che gli effetti della tua azione siano compatibili con la continuazione di una vita autenticamente umana» (Hans Jonas)

Ho sentito tante volte dire che in Italia, uno dei grandi mali degli ultimi anni è stata senz’altro la presenza di partiti personali, pericolosamente antidemocratici, che non hanno incoraggiato la partecipazione dei cittadini. Ma la colpa forse più grave di questi partiti è che non pensano al futuro, ma solo ad un presente contingente che arriva al massimo a fine legislatura, per intenderci.

images

Leggendo i programmi, osservando l’operato, conoscendo i candidati, posso affermare che i principali partiti italiani non hanno alcuna intenzione di guardare al futuro del paese e delle prossime generazioni. A malapena si pensa alle generazioni d’oggi.

Pensare al futuro significherebbe smetterla di illuderci che la crescita e lo sviluppo siano possibili sempre e comunque, perché il pianeta e le risorse non sono infinite. Pensare al futuro significherebbe guardare con decisione ai problemi ambientali, legati a un modello di sviluppo che considera solo il profitto, ed esternalizza i costi ambientali e sanitari, cioè ce li fa pagare a caro prezzo sulla nostra pelle. Pensare al futuro significherebbe iniziare a parlare di liberazione del tempo, riduzione delle ore di lavoro ed eliminazione dei lavori inutili, razionalizzando la folle produzione industriale di una società basata sullo spreco e sulle disuguaglianze, iniziando a pensare ai veri bisogni, senza più produrne continuamente di falsi per far crescere il PIL. E pensare al futuro significherebbe pensare al destino della produzione alimentare, al fatto che la terra è prostrata dalle coltivazioni intensive che abusano della chimica e la rendono quindi sterile, e che rendono il nostro cibo spazzatura; che le multinazionali stanno correndo ad accaparrarsi le terre libere; che l’inquinamento ambientale legato alla folle crescita sta minando la catena alimentare, contribuendo all’epidemia di tumori dei nostri tempi. Pensare al futuro, significherebbe applicarsi da subito a un piano energetico nazionale, basato sulle rinnovabili, specie sul solare, e sull’abbattimento dei consumi; riflettiamo su come i paesi nordici, che di sole ne hanno ben poco, ci hanno superato di gran lunga nella produzione.

Questo è pensare al futuro. E chi ci ha governato negli ultimi anni, non lo fa e non lo ha mai fatto. E non lo farà, probabilmente, finché non saremo ad un passo dal baratro. Illudendoci che sia ancora possibile abbuffarsi alla tavola imbandita del capitalismo. Le generazioni future ci malediranno, fosse solo per gli enormi debiti che proroghiamo di decennio in decennio.

Una politica che non guarda al futuro, ma pensa a restare a galla e a lucrare un altro po’, è la vera antipolitica. Ben venga chi inizia a interrogarsi davvero sul futuro, a parlare dei temi di cui sopra, e a farli diventare progetto politico. Alla faccia dei fondamentalisti della crescita.

Scritto da

Massimo Ammendola

- Classe 1985. Specializzando in Storia e Ambiente e laureato in Lettere Moderne all'Università degli Studi di Napoli «L'Orientale». Come direttore della rivista «Città Future» si occupa dei temi della transizione e della resilienza, ovvero della ricerca teorica e pratica di modi di vivere alternativi al modello capitalistico. Attivista nell'Assise della Città di Napoli e nei comitati campani impegnati nella salvaguardia dell’ambiente, della terra e della salute. Curatore del libro-inchiesta «Il destino di Napoli est. La pianificazione di un disastro: la nuova centrale a turbogas, il nuovo Terminale Contenitori e l’inceneritore» (2008) e «L'inganno dei termovalorizzatori» (2012)