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3 Giu 2013

Donazioni e trasparenza. Partiti, i punti deboli della legge

finanziamento ai partitiUna classe politica che veramente abbia intenzione di fare la storia non deve disarmare dinanzi ai capricci della cronaca. Tantomeno cedere all’ossessione di mimare le istanze degli oppositori (M5S) o dei supposti rivali (Renzi). Occorre invece un’interpretazione onesta ed autentica del desiderio popolare, il quale ha voglia di trasparenza, di rappresentanza, e di una partecipazione davvero più ampia. È in questo modo che si recupera il consenso dei cittadini verso i partiti, non fornendo al più presto una vittima sacrificale.
Non a caso, diversi e importanti sono i punti dubbi o illogici del progetto del governo. Al suo centro esso prevede dal 2015 la donazione del 2 per mille della dichiarazione dei redditi, che affluirebbe in un fondo per i partiti. Abbiamo già espresso la preferenza, per ragioni di efficacia e trasparenza, per altri sistemi. Tuttavia, se si ritiene di insistere, sarà bene che la donazione rimanga direttamente legata ad un partito di preferenza del donatore, per evidenziare la scelta politica, ovvero, anche qui, la partecipazione democratica. La quota del 2 per mille però deve anch’essa prevedere dei limiti massimi in cifra assoluta: per evitare ogni eccessiva disparità economica nel sostegno alla politica. Le quote di donazione risultanti da ogni 2 per mille che superassero il tetto stabilito (di poche centinaia di euro) potrebbero andare nel fondo comune dei 2 per mille «inoptati» per essere distribuite fra i partiti in modo proporzionale ai voti ricevuti alle elezioni politiche. È importante che nel progetto presentato siano previste regole democratiche stringenti per ogni partito che intenda avvalersi di queste possibilità. Anzi, la distorsione della democrazia interna ai partiti andrebbe sorvegliata da autorità preposte e punita in modo molto severo. Spesso, peraltro, tale distorsione è l’origine o il fine anche della corruzione perpetrata nelle istituzioni.

La seconda fonte di approvvigionamento ammessa proviene dalla detrazione fiscale alle donazioni. Quelle sotto i 5000 euro sono detraibili al 52%, e quelle fra i 5000 e i 20000 lo sono al 26%. Ma sarebbe meglio vietare ogni donazione superiore ai 10.000 euro, magari innalzando la percentuale detraibile. È, nel progetto di Ddl, anche possibile detrarre il 52% «delle spese sostenute dalle persone fisiche per l’iscrizione a scuole o corsi di formazione politica» organizzati dai partiti. Ma non è abbastanza chiarito, o forse non è affatto nelle intenzioni, se tale incentivo riguardi anche l’iscrizione pura e semplice ai partiti.

Potenzialmente molto positivo è incoraggiare le attività di formazione, ma solo se ciò significa la più generale promozione della partecipazione e della cultura politica. Questo, però, non si ottiene solo con qualche piccolo sgravio, bensì con regole che nel progetto mancano del tutto. Sarebbero per esempio essenziali norme sull’obbligo a destinare percentuali precise di risorse alla politica sul territorio, alle sezioni. Ciò è importantissimo per due motivi. Il primo è che se il progetto governativo intende costruire in modo nuovo risorse per la democrazia, e non solo guadagnare un consenso dubbio, effimero e ingannevole, occorre capire che anche per la riuscita del finanziamento tramite il 2 per mille, come ad ogni altra impresa democratica, è essenziale la visibilità dei partiti nei quartieri e nei luoghi di lavoro. Il secondo è che, come non si ripeterà mai abbastanza, il vero risparmio economico, la vera e trasparente partecipazione democratica, richiedono la militanza e le grandi competenze che essa (a bassissimo costo) produce per le nostre istituzioni. Da questo punto di vista, quindi, va accolto con favore che nel progetto governativo ai partiti vengano messe a disposizione strutture pubbliche (canali televisivi, radiofonici, spazi pubblicitari, edifici eccetera) per le attività democratiche ed elettorali. Ma ciò diviene insignificante se poi non si promuovono militanza e partecipazione, ovvero la risorsa che quegli spazi dovrebbe animare e riempire.

Di più: se l’intento è quello di diminuire i costi, sarebbe logico allora imporre dei limiti bassi e rigorosi agli impieghi di denaro in campagna elettorale. Grazie a questo risparmio (sul modello britannico), si potrebbero allora liberare delle risorse ottenute dal 2 per mille o eventuali altri fondi pubblici da destinare ai partiti in proporzione alle quote di iscrizione dei militanti (come in Germania).

Sempre con questo principio (mettiamo: 40 centesimi «pubblici» ogni euro raccolto) si potrebbero premiare (come in Scandinavia) iniziative che fra i simpatizzanti raccolgono fondi per precisi e verificabili progetti col fine di promuovere la partecipazione giovanile, delle donne, dei cittadini immigrati, o per sviluppare la democrazia interna telematica. A questo punto la presenza delle forze politiche nella società sarebbe maggiore e più massiccia, e così il dibattito (non solo elettorale). Ma a più basso costo. Producendo però un altissimo valore aggiunto democratico, e un ben più sicuro e fondato ritorno di popolarità dei partiti.

da L’Unità del 2/6/2013

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Scritto da

Paolo Borioni

- Storico, dottore di ricerca all'università di Copenaghen, collaboratore del Center for NordicStudies e dell'Università di Helsinki. Si occupa di storia dei paesi nordici, storia del socialismo, welfare state, storia delle istituzioni politiche, temi su cui ha all'attivo molte pubblicazioni e articoli. Contribuisce regolarmente alla stampa quotidiana e a riviste di dibattito politico-culturale. Tifoso della SSLazio 1900 da tre generazioni, di sinistra da quattro generazioni.