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Finanziamento ai partiti: come funziona in Europa e in USA

In Italia potrebbe sparire il sistema dei rimborsi ai partiti. Il Consiglio dei ministri ha infatti approvato il disegno di legge che introduce un nuovo sistema di finanziamento della politica basato sulle contribuzioni volontarie. Il nuovo ddl prevede donazioni che saranno favorite da una serie di sgravi: fino a 5 mila euro si potrà detrarre il 52% dell’importo donato, fino a 10 mila il 26%. In più ogni cittadino potrà decidere di donare il 2×1000  ad un partito politico di sua scelta.

Tuttavia a causa delle profonde divisioni tra i partiti,  questa riforma non seguirà un percorso facile e breve in parlamento, e sarà accompagnata da lunghe polemiche sui media. Nel corso degli ultimi anni poche tematiche hanno diviso e appassionato l’opinione pubblica come il finanziamento pubblico ai partiti che, complici i numerosi scandali giudiziari e il generale clima di sfiducia nei confronti della politica, per molti è diventato il simbolo stesso della corruzione della Casta. Ragionando con la pancia più che con il cervello,  molti credono che soltanto in Italia i partiti siano gonfi di soldi, mentre nel resto del mondo la politica costa poco o nulla.
Ma è davvero così? Come spesso accade la verità sta nel mezzo.

E’ vero che lo sperpero di risorse è maggiore nel nostro paese rispetto a molti altri, ma è altrettanto vero che non esiste nazione in cui la politica si fa gratis. Fare politica costa in tutto l’Occidente. Costano gli affitti delle sezioni, dei teatri e delle sale in cui tenere le iniziative pubbliche, costano le strutture, i viaggi e soprattutto costano le campagne elettorali e gli spot di propaganda.Il-senato-romano

 A questo punto per cercare di fare un po’ di chiarezza sull’argomento, vediamo qual è la situazione nei principali paesi europei e negli Stati Uniti.  Prima di tutto occorre sottolineare che solo in pochi stati non è previsto un sistema di finanziamento pubblico ai partiti che di solito avviene secondo due tipologie diverse: il finanziamento pubblico annuale e quello in base alle spese sostenute durante la campagna elettorale. A questi due modelli si deve aggiungere un terzo in cui entrambe le possibilità convivono. In Europa, secondo gli studi dell’IDEA (International Institute for Democracy and Electoral Assistance).

In Francia ne esistono di due tipi: il primo consiste in un contributo pubblico annuale fissato a 80,2 milioni di euro distribuito, a seconda dei risultati, a  tutti i partiti che abbiano ottenuto almeno l’1% dei voti e si siano presentati in almeno in 50 collegi elettorali.  Il secondo contributo è invece un  rimborso post elettorale sulla base dei rappresentanti eletti nelle camere che ammonta a circa 40 milioni di euro. A ciò infine va aggiunto il finanziamento per le campagne presidenziali (47,5% per chi supera il 5% dei voti, 4,75% per chi non raggiunge la soglia) per cui, quando si svolgono sia le presidenziali che le legislative, la somma totale si  aggira intorno ai  160 milioni di euro l’anno.

Un po’ più complessa è la situazione in Germania. Qui un ruolo particolare lo svolgono le fondazioni politiche (per approfondire:  “Finanziamento ai partiti, per fortuna si resta in Europa“) e la somma totale del finanziamento ai partiti non può comunque superare la soglia di  150,8 milioni di euro annui. I requisiti per ottenere rimborsi, tra le altre cose, prevedono una trasparenza totale del bilancio delle forze politiche, la presenza di statuti certificati e la totale trasparenza dei contribuenti.

Molto diversa è la situazione del Regno Unito (più affine anche dal punto di vista culturale agli Stati Uniti) dove le maggiori entrate dei partiti sono rappresentate dalle donazione di privati e di gruppi di interesse. Tuttavia anche Oltremanica non è completamente esclusa una forma di finanziamento pubblico, seppur minima. La legge inglese stabilisce infatti ogni anno circa due milioni di euro siano versati nelle casse dei partiti minori per permettere a tutti di poter partecipare alla politica.

L’unico paese occidentale che prevede un sistema simile a quello presentato dal Governo italiano in questi giorni sono gli Stati Uniti dove i costi della politica sono sostenuti esclusivamente dai grandi gruppi privati. La differenza sostanziale è che in America esistono molte leggi, come il “Lobbying Disclosure Act”, che stabiliscono rigide regole soprattutto nel campo della trasparenza per evitare che i partiti siano totalmente dipendenti dai loro finanziatori. Infatti, anche se per legge tutti possono contribuire alla ricchezza delle formazioni politiche, il contributo che arriva dai  privati cittadini non è neanche del 5%, il resto è messo da lobby, gruppi di pressione, associazioni, sindacati, fondazioni e persino paesi stranieri (su tutti Israele e Arabia Saudita che foraggiano i candidati alle elezioni attraverso numerosi centri culturali). Se tradizionalmente il Partito Democratico si appoggia ai sindacati e alle associazioni per i diritti civili oltre che alle imprese, il Partito Repubblicano fa delle organizzazioni cristiano-evangeliche e delle lobby delle armi il suo più grande serbatoio di finanziamenti.
Secondo il Washington Post in America ci sono quasi 3.700 lobbisti che ogni giorno provano ad imporre una legge o un regolamento che favorisca gli interessi dei loro rappresentati.
Nonostante non manchino polemiche e accuse, negli Stati Uniti l’attività delle lobby, a differenza dell’Italia dove la stessa parola è sinonimo di demonio, è considerata strategica per lo sviluppo del paese e la figura del lobbista (che in Italia per molti equivale a faccendiere o a corruttore) risponde ad un preciso codice deontologico ed ha un pieno riconoscimento giuridico a tutti i livelli.

Tutti questi esempi ci dimostrano che per far funzionale la democrazia non ci si può fermare alla semplice abolizione del finanziamento pubblico, magari sotto la spinta della rabbia popolare. E’ necessario innanzitutto  un’evoluzione culturale e un cambio di mentalità. Ma la società italiana è abbastanza matura e serena per affrontare un discorso simile?


Scritto da

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  • Pingback: Sul finanziamento pubblico dei partiti | Alessandra Untolini Bocci()

  • http://www.facebook.com/salvo.vecchio1 Salvo Vecchio

    Inutile difendere i partiti dicendo che anche in altri paesi europei i partiti hanno il contributo…1_ c’e’ stato un referendum di chui non hanno tenuto mai conto e questo è gia uno scandalo 2- in europa ci sono tante cose che in Italia non ci sono (1es. reddito di cittadinanza..ma non solo) dicono che non ci sono soldi…..quando non ci sono soldi non ci sono per tutti..non solo per i cittadini……….

    .

    • Dario

      Mi sa che non ha neanche letto l’articolo e questa è la prova che l’autore del pezzo ha colto nel segno. Non ho trovato in nessuna parte una difesa spada tratta del finazinziamento solo una lucida e dettagliata analisi del fenomeno. Purtroppo in Italia le persone non vogliono più pensare, si chiudono nella loro superba. Ignoranza

      • Luana

        concordo