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21 Mar 2012

Grazie a Monti non faremo la fine della Grecia? No, la stiamo già facendo

di Fulvio Tudisco.
In questi giorni di inizio primavera sembra quasi che l’avvicinarsi della bella stagione abbia infuso nel governo e in molti osservatori una nuova fiducia. A rapidi passi, senza ascoltare niente e nessuno, il governo “salva Italia” è pronto a varare una riforma del lavoro di un tale entità da riscrivere completamente le regole del gioco nel nostro paese. Forte del sostegno unanime dei partiti politici, della cronica assuefazione dell’opinione pubblica e del granitico appoggio del Presiedente della Repubblica, la squadra dei super professori è pronta a giocarsi il tutto per tutto. Anche a costo di rompere con i sindacati. Il tutto in nome della modernità, dell’Europa e dell’esigenza di non fare la fine della Grecia.
Ma qual è la panacea di tutti mali, il rimedio capace in un solo colpo di rimettere in piedi l’economia e di salvare il paese? Semplice, secondo il governo dei professori basta modificare le norme contenute nell’articolo 18 per far sì che i milioni di giovani disoccupati finalmente trovino l’agognato lavoro. Peccato che in Italia l’art. 18 copra meno del cinque percento delle lavoratori e i reintegri nel 2011 sono stati appena 60 con solo 11 lavoratori (di cui 5 della Fiat di Pomigliano) che hanno deciso di ritornare sul posto di lavoro.
Eppure a sentire la Fornero non è più possibile andare avanti così: bisogna applicare il modello tedesco. Ovviamente il ministro dimentica, o finge di dimenticare, che la differenza fondamentale tra il nostro paese e la Germania sta nel fatto che lì esiste ancora una politica industriale e che, a differenza nostra, da anni le imprese hanno puntato sull’innovazione dei modelli aziendali, sull’alto investimento in capitale umano e sulla ricerca e l’innovazione. Se invece di cadere nel solito provincialismo tutto italiano per il quale si prende dall’Europa solo quello che ci fa comodo  ci fermassimo un attimo ad osservare i fatti, ci accorgeremo che uno dei problemi più gravi dell’Italia è rappresentato dalla scarsa competitività delle imprese. In maniera molto schematica le imprese possono essere divise in due tipi, quelle che investono in termini di qualità dei beni prodotti (high road competition) e quelle che competono in termini di costi (low road competition). Le prime tengono molto al loro capitale umano per cui, pure in presenza di un mercato flessibile, le tipologie contrattuali temporanee incidono in maniera molto irrisoria. L’esempio di queste economie è la Gran Bretagna, dove i contratti a tempo rappresentano solo il 5,8%  (fonte Eurostat). Le economie che competono sui costi (Polonia e Romania su tutte) sono invece molto più inclini a cercare contratti flessibili. Il che è facilmente spiegabile: se in un call center può lavorare chiunque è molto difficile che chi  produce prodotti di qualità si liberi facilmente di un lavoratore formato ed esperto che al massimo può abbandonare l’impresa per un contratto più vantaggioso. In poche parole la modifica dell’art. 18., come del resto la flessibilità, non sono dei valori in sé. Potrebbero anche andar bene se inseriti in un contesto più generale di vere politiche industriali, di ammortizzatori sociali, di  welfare forte il  tutto in un mercato dove le industrie sono dinamiche e pronte a creare posti di lavoro. Senza questa fondamentale cornice ogni cambiamento del sistema di regole non sarebbe né più né meno che un arretramento delle condizioni dei lavoratori.  Se la riforma passerà così come vogliono i falchi del governo, in una situazione di crisi devastante, le industrie italiane si limiteranno a fare quello che hanno sempre fatto: cercare di competere sui costi e non sulla qualità dei beni prodotti. Fin quando c’era la lira, l’Italia riusciva ad essere competitiva svalutando la sua moneta, ma ora che c’è l’euro l’unica soluzione efficace appare quella di intervenire direttamente sui costi di produzione attraverso una  sostanziosa riduzione dei salari.
A questo punto per capire la portata dirompente di quello che sta accadendo bisogna per un attimo accantonare l’art. 18 e concentrarsi su tutte le parti della riforma architettata dal  governo. Infatti, grazie alla libertà di licenziamento, molte imprese potranno sostituire, con un minor costo, i dipendenti anziani con giovani che entreranno con il contratto di apprendistato, esteso a cinque anni, con un salario molto ridotto e con la spada di Damocle  di poter essere licenziati alla fine del contratto. Nel frattempo potendo usufruire del licenziamento individuale per ragioni “economiche o organizzative”, i licenziamenti disciplinari, magari fatti a sindacalisti, si trasformeranno tutti magicamente in licenziamenti per motivi di riorganizzazione aziendale. A tutto questo bisogna poi aggiungere la riforma degli ammortizzatori sociali dalla durata inferiore all’attuale cassa integrazione che di fatto porterà, visto il contemporaneo aumento dell’età pensionabile, molti lavoratori licenziati a restare senza alcun reddito fino alla pensione.
A questo punto non bisogna essere dei profeti per immaginare che, almeno che non ci siano significativi interventi sull’insieme del sistema-paese, le tanto celebrate riforme si tradurranno in una drastica riduzione dei salari con un conseguente crollo dei consumi che porterà alla chiusura di altre imprese con un calo delle entrate fiscali e quindi nuovi tagli allo Stato Sociale.
Tutto questo ovviamente è fatto  per evitare che l’Italia “faccia la fine della Grecia”. Ma a ben guardare il nostro paese la sta già facendo. L’unica differenza con i nostri vicini ellenici non è nella sostanza, ma nello stile con cui le misure vengono approvate.  Mentre ai greci il taglio del welfare, del 30% degli stipendi e le altre misure draconiane sono state imposte dalla Trojka europea, noi quelle misure ce le stiamo auto infliggendo nel sonno più profondo degli italiani che, a causa dello spauracchio della crisi, si stanno lentamente avviando a diventare abitanti di un paese a due velocità, dove pochi ricchi manterranno i consumi e la maggioranza dovrà accontentarsi di sopravvivere.

 

Scritto da

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  • grillosparlante

    L’Italia farà la fine della Grecia.
    Ma prima…Bunga Bunga!!!