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L’essenza del razzismo: offese e superficialità

 

Che il binomio tifo da stadio e pallone produca fenomeni di rara stupidità e squallore è ormai un dato di fatto acclarato che non stupisce quasi più nessuno. Eppure, neanche il più fantasioso degli osservatori, si sarebbe potuto aspettare una scena così grottesca e stupida come quella a cui abbiamo assistito in un servizio del telegiornale regionale piemontese fuori ai cancelli dello stadio di Torino prima del big match tra Juventus e Napoli. Prima il consueto coro “o Vesuvio, lavali tu”, poi un tifoso che afferma che “i napoletani, come i cinesi sono ovunque” e infine, perla massima di stupidità, un giornalista che, con sorrisetto compiacente, chiede se e loro signorilmente li distinguono dalla puzza”. In questo grottesco siparietto c’è veramente tutto: dallo pseudo tifoso, dal vistoso accento meridionale, intento a discettare sui diversi, dai violenti e purtroppo consueti cori da stadio fino al compiaciuto pregiudizio di chi si trincera dietro al diritto di cronaca per dar voce ai più oscuri sentimenti covati nella pancia del paese. A giusta ragione a finire sul banco degli imputati è stato principalmente l’autore del servizio, il giornalista Rai Giampiero Amandola, che si è giustificato attribuendo alla fretta il suo “scivolone”.

Una giustificazione che non regge assolutamente né sotto il profilo pratico né sotto quello sostanziale. Tutto il servizio infatti gronda di razzismo e cosa ancora peggiore è presentato come un pezzo “di colore” e di “goliardia calcistica”. Troppo spesso nel nostro paese si è portati a giustificare tutte le forme di discriminazione con un sorrisetto compiaciuto derubricandole, appunto a fenomeni di folklore. Anche se noi italiani siamo abituati a considerarci il popolo più tollerante del mondo, la nostra Tv, i nostri giornalisti e i nostri discorsi grondano di razzismo strisciante, di quella intolleranza quasi inconsapevole che nasce dall’ignoranza e dalla superficialità. Nel grande calderone del qualunquismo italico tutto fa “colore”. È colore se un calciatore dichiara che lui è tollerante però non sopporta i “froci”, se un sindaco per fermare la violenza sulle donne propone di vietare le minigonne, è giornalismo di “colore” fomentare i più beceri luoghi comuni su Napoli e sui napoletani, sulla spazzatura e sulla pizza e il mandolino.

Purtroppo Giampiero Amandola nella sua superficialità è senza dubbio in buona compagnia, soprattutto nel mondo del calcio. Come considerare infatti il Giudice sportivo Tosel, che mentre punisce severamente i cori razzisti considera invocare il Vesuvio “un’espressione di tifo”? Per fortuna questa triste storiella ci ha regalato almeno due buone notizie. La prima è che per la prima volta da tempi immemori, la Rai e l’ordine dei giornalisti sono scesi in campo in maniera decisa per sanzionare un loro collega. Cosa del resto consueta negli Stati Uniti (un paese che avrà pure mille difetti ma che certo non può essere considerato nemico della libertà di stampa) dove i giornalisti sono sempre liberi di esprimere le proprie valutazioni ma a patto che non siano denigratorie e che non vengano mai utilizzate frasi razziste. E per razzismo, in America, si intende anche ironizzare sulla lingua, le origini, la provenienza geografica o la religione. Uno dei casi più eclatanti è quello di un famoso commentatore sportivo, Max Bretos, del colosso Tv Espn, che durante una partita di basket aveva pesantemente ironizzato sulle origini cinesi di un giocatore con termini e modi molto simili usati dal nostro Amandola. Il risultato è che è stato prima sospeso e poi licenziato in tronco dall’azienda e, inutile dire, la sua immagine è stata definitivamente compromessa. Certo si potrebbe obiettare che gli americani sono un popolo di bacchettoni ossessionati dal politically correct, ma è pur vero che a volte prima di fare un servizio non farebbe male ripassare la differenza tra diritto di cronaca e insulto contenuta nei manuali deontologici studiati per l’iscrizione all’albo. La seconda buona notizia è che per la prima volta in Italia, la rete ha battuto la televisione.

Se non fosse stato per la capillare e spontanea diffusione in internet dei video dell’intervista il siparietto penoso non avrebbe oltrepassato le valli piemontesi, e sarebbe stato relegato alle poche migliaia di spettatori che hanno visto in diretta il “servizio di colore”. Grazie al meccanismo della condivisione, invece, milioni di italiani hanno potuto conoscere, confrontarsi e forse riflettere sulle dosi massicce di discriminazione che tutti i giorni ci vengono somministrate. Senza internet magari Amandola sarebbe ancora convito che dire che i napoletani puzzano è qualcosa di simpatico e divertente e non una forma di qualunquismo capace soltanto di esacerbare gli animi di un paese già attraversato da pesantissime tensioni sociali.

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