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Non serve rottamare per rinnovare

“Oggi non è la fine della sinistra, è la fine di un gruppo dirigente della sinistra.”

Con queste prime lapidarie parole, appena eletto segretario,  Matteo Renzi ha voluto affermare in maniera sintetica il principio di fondo che sta alla base della sua concezione della politica: per rinnovare i valori profondi della sinistra basta un semplice cambio di classe dirigente.

Anche se a molti tutto ciò può sembrare una novità, e in un certo senso lo è, in realtà la storia recente della sinistra italiana è composta da cicli di rottamazione.  Troppo spesso, però, accade che questi passaggi si riducano ad un semplice “fatto generazionale”.

Esattamente vent’anni fa, dopo il collasso del fragile equilibrio democratico italiano basato sui partiti tradizionali e dopo la fine del socialismo reale, una nuova generazione di politici, i rottamabili di oggi, liquidò quanto fatto dai predecessori, pensando che soluzioni facili potessero risolvere problemi complessi e che un semplice cambio di denominazione bastasse a creare una sinistra moderna, capace di interpretare gli stravolgimenti socioeconomici in corso.

Con lo stesso entusiasmo dei renziani di oggi, i giovani quadri formatisi nell’ex PCI  incominciarono ad interrogarsi su cosa fosse  “moderno a al passo con i tempi” e a liquidare come degenerazione del passato tutto il pensiero socialista, smarrendo progressivamente  la capacità di analizzare quali erano gli elementi negativi in atto nella società politica ed economica e in quale direzione andavano modificati.

Così, a furia di cercare ad ogni costo di rottamare il passato, l’ egemonia culturale della sinistra è rimasta senza respiro, senza ambizione, riducendosi ad affermare, come  unica differenza rispetto alle destre, la questione morale di berlingueriana memoria.

Il risultato è stato che la sinistra ha perso, forse per la prima volta nella storia, la rappresentanza delle istanze di cambiamento che sono diventate ormai appannaggio esclusivo dei populisti e delle generazioni de-ideologizzate cresciute nella convinzione che a rovinargli la vita siano state le generazioni precedenti e non le storture di un modello capitalista iperliberista.

0063_renzi_civatiQuesta sinistra nata dal parricidio è oggi rottamata da Renzi e attraverso questa operazione si chiude una partita e comincia un’altra storia. Per conoscere se si tratta soltanto della fine di un ciclo o dell’alba di un nuovo ciclo, bisognerà aspettare di capire cosa vorranno farne i renziani del consenso ottenuto nelle primarie: quale ruolo immaginano possa avere una sinistra moderna in un sistema economico e sociale mondiale non più regolato dai conflitti sociali e  dalle dinamiche legislative interne, ma dai mercati finanziari globali e dagli organismi sovrannazionali;  in che modo intendano difendere i lavoratori  in un’economia nella quale  il lavoro ha perso quasi completamente la sua centralità a beneficio della speculazione e della globalizzazione.

Ma soprattutto Renzi e i suoi dovranno spiegare con quale modello di democrazia organizzata intendano sostituire quello attuale, se con una democrazia sorretta dalla forza e dalla legittimità di partiti rinnovati nella cultura e nel personale politico o su di un sistema sostenuto dal carisma del leader in cui tutte le decisioni sono prese da una ristretta oligarchia di potenti e la partecipazione si riduce ad episodiche manifestazioni di consenso all’americana.

Solo da queste risposte potremo valutare se la nuova sinistra renziana sarà portatrice di un nuovo modello culturale o si limiterà semplicemente a sostituire un pensiero debole con un altro ancora più debole. Solo così  il cambiamento non sarà l’ennesimo slogan vuoto,  l’ennesima riproduzione all’infinito di quel circolo vizioso che ha portato la sinistra ad avere un ruolo sempre più marginale nella società.

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