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Pompei ha bisogno di archeologi non di curatori fallimentari

Pompei

Tra pochi giorni, il 9 dicembre, il ministro Bray dovrà decidere chi sarà il direttore generale del progetto Grande Pompei, che avrà la responsabilità di spendere i 105 milioni di euro messi a disposizione dall’Europa per realizzare i lavori di restauro necessari per il sito dell’antica città vesuviana.

Tra i nomi dei papabili c’è quello di Giuseppe Scognamiglio: napoletano e già responsabile public affairs di Unicredit. Un curriculum di tutto rispetto se non fosse per un solo piccolo particolare.

Il dott. Scognamiglio con l’archeologia non ha niente a che vedere.

Poco importa: il DG dovrà “solo” mettere in ordine le enormi spese previste nel prossimo futuro.

Poco importa se non conoscerà i critieri archeologici di intervento.
Poco importa se non avrà gli strumenti (archeologici, per l’appunto) per valutare i progetti di restauro proposti dalle diverse imprese.

Basta che i conti siano a posto.

E allora aspettiamoci interventi massivi a basso costo, puliture di superfici senza alcun rispetto per gli strati, a volte millimetrici, tanto cari agli archeologi, aspettiamoci malte o materiali non compatibili con quelli originali e che, con buona possibilità, riproporranno gli stessi problemi da qui a 5 anni.

La probabile nomina del dott. Scognamiglio getta la comunità scientifica nel più totale sconforto.

Per gestire Pompei servono archeologi non curatori fallimentari. Accanto a chi deve tenere i conti in regola, serve chi conosce la differenza tra manutenzione, restauro, intervento d’urgenza.

E questo qualcuno esiste eccome ed è pronto a mettersi a lavoro. Ma chissà perchè la politica preferisce il responsabile public affairs di una banca.

A Pompei sono stati mandati prefetti, generali in pensione e ora anche un manager: mai che arrivasse un archeologo che sa quello che deve essere fatto. Pompei ha bisogno dell’ordinario lavoro di manutentori, restauratori e archeologi. I manager possono aspettare.

Salvatore_SettisSono dure le parole che Salvatore Settis ha scritto oggi su La Repubblica.
Il prof. Settis, da sempre impegnato contro il degrado del nostro patrimonio, ha dato voce all’insofferenza, alla delusione e al dolore che noi tutti, che sogniamo di lavorare non a Pompei, ma per Pompei, proviamo quando sentiamo parlare di cultura e valorizzazione da parte di chi le intende in termini unicamente economici, di sfruttamento e di “esternalità positive” del nostro patrimonio storico, archeologico e artistico.

Mi piace ricordare sempre che Pompei non è nostra, ma di chi ci ha preceduto e di chi ci succederà. Non è una gallina dalle uova d’oro alla quale ogni tanto si può fare un’iniezione di salute.

 

Scritto da

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