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10 Ott 2012

Renzi il rottamatore: una battaglia mediatica per conquistare il PD

In principio fu Beppe Grillo e i sui vaffa urlati nelle piazze virtuali e non. In un’Italia stanca e depressa, attraversata da un’ondata di rifiuto dei confronti della casta, il comico genovese è stato il primo a riuscire a interpretare il risentimento più profondo e viscerale nei confronti della politica di un paese prima sedotto e abbandonato da tangentopoli e poi anestetizzato da diciassette anni di berlusconismo. Prima dell’exploit delle regionali del 2011 pochi osservatori e analisti avevano prestato attenzione dal punto di vista comunicativo al Movimento  Cinque Stelle. Avviluppati nei meandri dei colpi di coda di una stagione politica che volgeva al termine, era stato visto come un fenomeno passeggero, una fisiologica ondata di antipolitica destinata a spegnersi in breve tempo. Eppure quello che era sfuggito a molti era che Beppe Grillo e i suoi spin doctor (la Casaleggio su tutti) stavano mettendo in pratica una strategia di comunicazione politica completamente nuova, capace di far leva sulla sacrosanta protesta nei confronti di una politica incapace di autoriformarsi e con l’utilizzo massiccio delle più moderne tecnologie informatiche al posto dei media tradizionali.

Tra i pochi a comprendere che, esattamente come era successo nel 1994 con la discesa in campo di Berlusconi, ci si trovava di fonte ad un cambiamento epocale c’è stato il sindaco di Firenze, Matteo Renzi. Sfruttando il suo ruolo politico non di primissimo piano, ha  intuito che la sua unica chance per scalare i vertici del partito democratico era puntare sullo stesso linguaggio, ma declinandolo in una forma comunicativa diversa. Se  Grillo era l’interprete di una voglia di rinnovamento totale della politica, lui poteva diventare il campione del rinnovamento basato sull’età anagrafica. Se Grillo riusciva a scaldare i cuori puntando sul mandare a casa l’intera casta, lui poteva puntare su di una “rottamazione” circoscritta soltanto alla casta del suo partito o al massimo ad alcune figure del panorama politico nazionale (del resto essendo un politico di professione non sarebbe stato molto credibile nella veste di antipolitico).

Per far questo sin dai tempi della Leopolda il “giovane” sindaco anticasta si è fatto accompagnare da Giorgio Gori, uno che di immagine se ne intende (è stato tra le altre cose direttore di Canale 5) e sa come plasmare la figura di un candidato per renderla più conforme alle regole del più sofisticato marketing politico attraverso una comunicazione semplice basata su quello che gli elettori vogliono sentirsi dire.  Del resto se guardiamo gli slogan utilizzati durante la campagna per le primarie ci accorgiamo facilmente che il leit motiv è sempre lo stesso: cambiare i vertici del partito puntando a farsi interpreti dell’ondata di insofferenza verso la politica nel suo insieme. Significativo a questo proposito è il discorso fatto da Renzi a Campobasso: “Svecchiare la politica non è il mio obiettivo, ma è l’obiettivo degli italiani. Sono loro a non voler più vedere le stesse facce; noi non stiamo dicendo niente di particolarmente innovativo e intelligente. Stiamo dicendo una cosa che gli italiani sentono come vera”.

Basta ascoltare le parole di chi sostiene Renzi, o farsi un giro su un social network, per accorgersi che questa campagna ha raggiunto il suo scopo: chi lo sostiene non lo fa tanto per le sue idee o per le sue proposte, ma quasi esclusivamente perché spera in un terremoto capace di sconquassare la politica italiana.

In realtà se guardiamo oltre le strategie comunicative, ci accorgiamo che tra i renziani convinti ci sono molti esponenti politici che addirittura sono dirigenti politici  interrottamente  dai lontani tempi del P.C.I. (alcuni nomi su tutti: i liberal Enrico Morando e Umberto Ranieri), altri sono deputati da diversi lustri (come Ermete Relacci e Paolo Gentiloni)  e altri ancora, come Pietro Ichino,  da anni incarnano la minoranza di “destra” all’interno del partito. Nelle fila dei rottamatori  ci sono i più convinti sostenitori dell’agenda Monti e un pezzo della componente di minoranza dei Modem (ossia tutti i 12 parlamentari che fanno riferimento a Gentiloni e poco meno di metà dei 34 veltroniani).
Dietro alla campagna comunicativa della “rottamazione”, in realtà è in atto un profondo scontro politico tra due diverse concezioni e due diversi paradigmi interpretativi del ruolo della sinistra. Renzi incarna un’idea di sinistra senza aggettivi che strizza l’occhio al centro e alla destra che, schematizzando molto, assomiglia a quella teorizzata da Tony Blair negli anni novanta. Di contro alcuni bersaniani sembrano avvicinarsi, molto timidamente e con molta incoerenza nei fatti, alle posizioni del resto della sinistra continentale. In pratica rispetto al dibattito europeo i termini nuovo e vecchio sono completamente rovesciati. In tutti i partiti della sinistra d’Europa il modello blairiano, è ormai completamente abbandonato tanto da apparire vecchio, mentre il nuovo, cioè il cambiamento di rotta rispetto agli ultimi due decenni, è rappresentato dal ritorno ad una sinistra più marcatamente socialista.
Ovviamente è ancora presto per fare delle previsioni su quale sarà il modello che uscirà vincente dai gazebo delle primarie, a messo e non concesso che ne uscirà uno. Quello che è certo è che soprattutto dal punto di vista politico e culturale il nostro bel paese segue una strana concezione del tempo per cui ciò che è vecchio per il resto dell’Europa è per noi giovane e viceversa.

 

Scritto da

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  • Angelo

    In un recente saggio del dicembre 2011, edito in Italia da Laterza, dal titolo “Il potere dei giganti”, Colin Crouch si chiede perché la crisi non ha sconfitto il neoliberismo. In proposito e sovente al fine di tentare di uscire dalla crisi, da più tempo si è sviluppato un ampio dibattito sull’opportunità di rifinanziare la crescita secondo il modello e le ben note ricette elaborate da Keynes. Eppure, “l’economia keynesiana aveva un tallone di Achille: le tendenze inflazionistiche del modello, dovute al suo meccanismo a senso unico azionato dalla politica” (Crouch, ibidem, pagina 17). Tanto premesso, credo che il modello blairiano – pur con tutta l’approssimazione del caso – più che un passato e sperabilmente (per me, ex LibertàEguale, ex Rosa nel Pugno!) un futuro abbia soprattutto ancora un presente. E in ogni caso: sono d’accordo con te sull’attuale incoerenza fattuale del Pd ma ti dico anche che, almeno nel presente dei meccanismi di governo dell’UE, bisogna essere almeno forza di governo nazionale se si vuole in qualche modo indirizzarne o al più modificarne le scelte.