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16 Nov 2012

Socialismo del XXI secolo ed emergenza antropologica

di Claudio Bazzocchi
Sentiamo dire da almeno vent’anni che i tempi sono cambiati. Vero, ma il cambiamento ha segnato la sconfitta della sinistra e del movimento operaio in tutto il mondo. Non è avvenuto per caso e adeguarsi a esso significa perpetuare la sconfitta.
Negli ultimi trent’anni si è andato affermando quello che il sociologo Mauro Magatti ha definito il capitalismo tecno-nichilista. La globalizzazione ha risolto il problema dell’addomesticamento del lavoro, del suo controllo grazie alla possibilità di trasferire fuori dai paesi ricchi la produzione, dove il costo del lavoro può essere anche un decimo di quello occidentale. Il lavoro non può che perdere la sua centralità a favore del consumo. Vincolo non è più la produzione, dal momento che si produce in abbondanza, ma il consumo. E il consumo incontra l’essere umano che, al culmine della modernità, scopre che il cielo è vuoto, privo di ideologie, riferimenti, valori e religioni. Gli individui devono determinarsi da soli e sentono di poterlo fare grazie anche all’aumento inusitato di potenza che la tecnologia ha messo a loro disposizione. Si configura dunque un tipo di capitalismo che produce il massimo della libertà individuale e della potenza tecnica volta all’autodeterminazione in un mondo privo però di qualsiasi tipo di narrazione verticale costitutiva dei legami e del desiderio, per dirla in termini psicoanalitici. La biologia ha sottratto persino il potere di creazione a Dio e tutto diventa possibile, tutto e il contrario di tutto. Dopo hegelismo, marxismo e psicoanalisi freudiana – che partivano dall’opacità del reale – il mondo torna a essere trasparente, insieme di oggetti infinitamente manipolabili, persino geneticamente.
Massima libertà individuale, grande potenza tecnica ed esperienza del nulla che apre al deserto ma allo stesso tempo al godimento sfrenato proprio come a Las Vegas. Ha scritto Magatti:
il nichilismo contemporaneo cerca di contrastare il difetto di realtà, emergente dalla mancanza di senso, attraverso l’impegno inesausto a “fare esistere” il nuovo, qualunque cosa esso sia, a condizione che soddisfi i requisiti di efficienza tecnica o che riesca a “toccare” la soggettività. Attraverso la messa in circolazione e il consumo immediato di un’enorme quantità di significati, il capitalismo tecno-nichilista crea così le condizioni per le quali il vuoto sembra il pieno, mentre la mancanza, derivante dall’esperienza del nulla, viene apparentemente superata mediante la saturazione dello spazio che circonda il soggetto (M. Magatti, La grande contrazione, Feltrinelli, Milano 2012, p. 60).
Già quarant’anni fa, Jacques Lacan aveva intuito il nuovo capitalismo che si profilava all’orizzonte con il suo Discorso del capitalista, titolo di un seminario tenuto a Milano nel 1972. Nel nuovo sistema non si risolveva più la tensione tra libertà e controllo grazie al legame tra funzioni di significati all’interno dello Stato-nazione, ma grazie a dispositivi tecnici volti alla soluzione dei problemi della convivenza, al di là di qualsiasi ancoraggio valoriale e politico-culturale e alla produzione inesauribile di oggetti ed esperienze in grado di suscitare emozioni e godimenti intensi, a loro volta resi possibili da soluzioni tecniche di grande efficacia comunicativa. Gli oggetti, le cose, il mondo sono così a portata di mano e identici gli uni con gli altri nel loro essere produttori di godimento fuori da qualsiasi cornice valoriale. Il mondo non ha bisogno di essere interpretato e non necessita del lavoro come medium tra soggetto e oggetto. Essi sono infatti unificati nel godimento continuo e la realtà come mistero da interpretare nella sua non coincidenza col soggetto viene rimossa. Tale rimozione mette in crisi anche il sistema scolastico, così come è sotto gli occhi di tutti. Infatti, insegnare ciò che uomini e donne hanno pensato nei secoli per interpretare la realtà e allo stesso tempo per renderla socialmente vivibile – sottratta alla mera volontà di potenza – rischia di non aver alcun fascino per le giovani generazioni (detto tra parentesi: la difesa della scuola pubblica senza riflettere su questo e affermazioni secondo le quali la cultura sarebbe il “petrolio” dell’Italia fanno francamente sorridere).
Il discorso del capitalista cambia il paradigma del capitalismo weberiano per il quale la rinuncia e il sacrificio di sé consentivano accumulazione di capitale e poi produzione di profitto. La rinuncia pulsionale, il sottostare a una Legge e a un insieme di valori come quelli dell’ascesi protestante e i legami che ne derivavano di tipo familiare e sociale non sono più una virtù per il capitalismo contemporaneo. È la spinta al godimento immediato e sfrenato a caratterizzare il discorso del capitalista contro ogni tipo di legame. Il soggetto entra in contatto con le cose e con gli altri non più grazie al legame sociale prodotto da ideali, valori, culture, tradizioni, religioni, ma solo attraverso il consumo e il godimento dell’oggetto. Come ci insegna la psicoanalisi lacaniana, il godimento si sostituisce al desiderio, ove per desiderio si intende il desiderio del desiderio dell’altro, ossia la volontà di essere riconosciuti come esseri umani. L’Altro rappresenta il limite sul quale dobbiamo fermarci, ciò che blocca la cattiva infinità del consumo, dell’incorporazione, e apre alla storia dell’umano. Il riconoscimento diventa affidamento e viceversa. Esso ci espone in qualche modo all’ignoto, allo sforzo della comprensione, dal momento che trovo di fronte a me qualcosa che non posso incorporare, cioè un essere umano come me. È questo inizialmente un dolore, ma apre alla gioia del pensare, della libertà, della possibilità di creare una storia di solidarietà rispetto al comune dolore e significati condivisi. Ciò che conta non è allora la libertà in quanto autorealizzazione, ma in quanto possibilità di esprimersi, di entrare in rapporto con gli altri e far partire così la storia dell’umano, individuale e collettiva. La realtà non si impone come mero dato e ha poco senso ragionare sulla cosa in sé, come impariamo da Hegel. La realtà esiste in quanto spazio simbolico e la libertà è la capacità di attribuire significati alle cose e inserirle affettivamente in un progetto di creazione di senso.
Ci pare evidente che la caduta degli ideali e dei riferimenti valoriali associata al prevalere del godimento sul desiderio non possa che mettere in crisi la politica e qualsiasi idea di trasformazione sociale, intesa anche come compito filosofico:
La caduta dell’Ideale e della sua funzione orientativa e l’affermazione dell’oggetto di godimento in una posizione di agente sono i due elementi cruciali che animano il discorso del capitalista come macchina anonima di godimento e mostrano la precarietà simbolica dell’Altro contemporaneo: crisi della politica, dell’ideologia, del religioso, della dimensione valoriale, del discorso educativo, epoca postideologica, postmoderna, ipermoderna, postumana. Si tratta di una precarietà che è il prodotto di una instabilità dei legami, di legami senza Ideale, instabili, liquidi direbbe Bauman, esposti alla contingenza del sintomo. Ma anche di legami chiusi, cristallizzati, non-liquidi, reificati, solidificati, gelati, molecolari, involuti, segregativi. La caduta dell’Ideale […] non comporta solo la liquefazione dei legami in quanto privati di ogni orientamento ideale, ma tende anche a rafforzare un loro compattamento monadico, autistico, apatico, narcisisticamente ostile allo scambio simbolico (M. Recalcati, L’uomo senza inconscio. Figure della muova clinica psicoanalitica, Raffaello Cortina, Milano 2010, p. 30).
Allora sì, i tempi sono cambiati, ma compito del socialismo del XXI secolo non sarà né quello di adeguarsi ai tempi né quello di riproporre solo consunte ricette keynesiane, per quanto neo o, appunto, aggiornate al tempo presente. Il tempo è cambiato e mette in crisi lo statuto dell’umano. Da qui, da quella che è stata definita un’emergenza antropologica (Si veda, P. Barcellona, P. Sorbi, M. Tronti, G. Vacca, Emergenza antropologica, Guerini e Associati, Modena 2012), occorre ripartire per rimettere in campo l’ambizione filosofica del socialismo, affinché l’umano possa di nuovo mettere distanza l’oggetto del desiderio. Oggi il mondo viene ridotto a mera informazione dalle neuroscienze e dalla biologia, e gli esseri umani non sono più coloro che, come ci ha insegnato Hegel, mettono a distanza per poter pensare, ma semplici scambiatori di informazione; informazione che non è il sapere simbolico che nasce dalla messa a distanza per capire il proprio posto nel mondo, ma un meccanismo che attua processi di calcolo per predire la soluzione migliore all’interno del sistema. In questo modo vengono a scomparire processi e soggetti sociali. Il sociale si ritrae e rimane il vivente col suo codice immunitario in cui si accumulano informazioni per vivere di più o provare più piacere nell’immediato.
La sinistra non ha bisogno di leader solitari a cui affidare la soluzione di problemi. Bisogna lavorare per ripristinare il socialismo come compito filosofico, compito che non può essere altro che corale e popolare. Il leader da scegliere nelle primarie è fin troppo a sua volta un oggetto da consumare, a cui peraltro affidare la soluzione dei problemi affinché si possa rimanere in un mondo liquido di godimento sfrenato, in cui gli oggetti si consumano e non si mettono a distanza.
La politica di chi vuole trasformare il mondo è allora affare di popolo organizzato perché è lotta contro il destino per la liberazione. Essa tiene assieme colti e incolti, perché non si tratta di applicare una dottrina rivoluzionaria per la sola eguaglianza economica, ma di attraversare il reale, scardinarne la presunta immodificabilità per conquistare spazio alla politica, come possibilità di mettere a distanza le cose, elaborarle culturalmente e di nuovo sentirle vicine, ma trasformate, fatte proprie. Qui stava la grandezza del movimento operaio, che seppe tenere assieme filosofia e politica.
E qui sta, ancora oggi, l’importanza dei partiti politici e la necessità di costruire un grande soggetto popolare non leaderistico, non ideologico, ma radicato e di massa.
Claudio Bazzocchi è docente di sistemi politici comparati presso l’università di Bari. Si occupa di filosofia politica e storia delle idee. E’ autore tra gli altri di “Virtù e fortuna. In difesa del partito politico”. Collabora con Allonsanfan.it

 

Scritto da

Redazione LPP

- Redazione de La Prima Pietra