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23 Mag 2012

Storia d’Italia: 1993-2013, fine di un ciclo

I Maya, come altri popoli dell’America centrale, misuravano il tempo mediante un ciclo di venti anni: i katun. Finito questo periodo il calcolo ricominciava da capo. Guardando a quello che sta accadendo in Italia negli ultimi mesi sembra che anche nel nostro caso si possa parlare di un piccolo katun politico. Dopo i risultati del secondo turno delle elezioni amministrative, in un paese già fortemente scosso dalla crisi e reso ancora più spaventato dall’attentato di Brindisi, ormai è chiaro a tutti che un periodo si sta chiudendo e un altro è destinato ad aprirsi. Ovviamente è troppo presto per capire quali saranno i contorni, chi saranno i protagonisti e cosa produrranno. Sicuramente è finito il tempo delle alchimie, delle magie elettorali, dei dico e non dico, della politica poco chiara. Quando si è in crisi è necessario dare certezze, identità chiare e non sfumature differenti.

L_Italia_e__un_paese_vecchio.jpg_481438868In fin dei conti, al di là del risultato elettorale stesso, quello che più colpisce è la reazione, anzi la mancanza di reazione dei partiti al violento terremoto che si è abbattuto su di loro. Come da sempre accade il giorno dopo tutti si impegnano in analisi del voto dal sapore stantio e ripetitivo, ma nessuno mostra la minima idea nuova per rinnovarsi. Non è difficile immaginare che questo ceto politico abulico, che ormai non sembra neanche più maggioranza nel paese, sarà incapace di produrre le riforme necessarie, a cominciare da una nuova legge elettorale e da un riforma del sistema dei partiti. I soliti veti incrociati e interessi di bottega impediranno di prendere di petto la situazione facendo scivolare la politica della seconda Repubblica verso un lento spegnersi per inerzia di moto senza i fuochi d’artificio e gli scossoni che caratterizzarono la fine della prima.  Persino l’esperienza del governo dei super tecnici sembra destinata ad arenarsi su un binario morto. Difficilmente il parlamento riuscirà a portare a termine le riforme tanto care al premier Monti, come quella del mercato del lavoro, a meno che la spinta di fattori esterni (tipo la fine dell’Euro) o di fattori interni (il ritorno del terrorismo) non portino ad un nuovo dirigismo politico.

Come spesso succede quando ci sia avvia sul lungo viale del tramonto, è opportuno interrogarsi sulla nascita del ciclo e su quali basi sia iniziato. I partiti della prima Repubblica sono scomparsi non per una rivoluzione ideologica quanto per una violenta dissoluzione delle sue classi dirigenti. Ai vecchi politici di primo piano si sono sostituiti generazioni di seconde linee che hanno beneficiato della situazione per liquidare i loro “antichi maestri”. Tutto ciò ha prodotto un ciclo in cui lo scontro è avvenuto più sulle differenze tra gli apparati politici che sulle concrete differenze ideologiche tra i partiti. Non è un caso che proprio in questi anni si è assistito alla nascita di formazioni leaderistiche tutte improntate sul carisma del singolo, e nel contempo, le sezioni si sono ridotte a meri comitati elettorali e i dibattiti in televisione e suoi giornali hanno sostituito le elaborazioni collettive. Nel frattempo partiti senza identità si sono confrontati per anni pensando che il potere, le alchimie e le leggi elettorali li avrebbero messi al riparo dal rischio di essere spazzati via come era successo ai vecchi protagonisti della stagione precedente. Forti di queste convinzioni, hanno sottovalutato i segnali di scontento popolare finendo travolti proprio da quella politica anti – ideologica, senza identità e personalistica che proprio loro avevano creato.

Oggi, a quasi venti anni esatti dalla fine del precedente katun, siamo ritornati esattamente al punto di partenza, con un ceto politico sempre di più delegittimato agli occhi dei cittadini. L’unica differenza è che rispetto al passato non c’è una generazione di seconde linee pronta a prenderne il posto, ma generazioni intere di cittadini che chiedono a gran voce un ritorno ad una politica che viene dal basso, fatta di partecipazione, di confronto,di  risposte ai problemi concreti e di ideologia. Forse a questo punto e con un pizzico di fantasia,  si potrebbe pensare che non ci sarà la tanto temuta fine del mondo profetizzata dai Maya quanto più prosaicamente la fine di un ciclo politico iniziato vent’anni fa.

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