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Daniele: “La politica si riforma, ora tocca ai sindacati”

Pubblicato su MerqurioBlog

Dopo una lunga fase di immobilismo l’Italia sembra essersi svegliata con una grande voglia di rinnovamento. Non solo in politica, dove Renzi e Grillo ne hanno fatto il loro principale cavallo di battaglia, ma anche in tutta la società. Che cosa significa per lei rinnovamento?

“Indubbiamente, c’è una grande attenzione a questo tema. Del resto, l’elezione di Renzi a segretario del Partito democratico prima, e il successo del Pd alle elezioni europee poi, sono testimonianza della voglia di cambiamento che permea il nostro Paese. Credo che questa fase della storia politica ed economica dell’Italia costituisca uno spartiacque rispetto ai molti processi che investiranno l’Italia nei prossimi anni e tutte le organizzazioni sindacali, d’impresa, e persino in un certo senso gli ordini professionali, saranno chiamati a interrogarsi su questo tema. Per quanto mi riguarda, è un processo che è anche anagrafico, ma è soprattutto di contenuti, oltre che di strumenti di comunicazione e di linguaggi.”

Lei parla del rinnovamento dei sindacati eppure il sindacato, in particolar modo la Cgil, è accusato da più parti di essere poco attento alle trasformazioni e di difendere un modello di società che non è più attuale. In che cosa il sindacato avrebbe bisogno di un rinnovamento?

“Innanzitutto credo che sia un bene, per un’organizzazione come la nostra, preservare l’immenso patrimonio di valori, proposte e ideali che rappresentiamo. È chiaro, però, ed è questo il vero nocciolo della questione, che la nostra forza è stata da sempre quella di adattarci alle mutazioni della società e dei processi economici. Credo che la vera sfida, nel prossimo futuro, sarà saper leggere le trasformazioni di un mondo del lavoro che non è più quello fordista e della fabbrica e che impone al sindacato uno sforzo di rinnovamento anche dal punto di vista organizzativo. Si tratterà, inoltre, di una sfida soprattutto di tipo ideologico. Nel passato, a partire dal dopoguerra, il ruolo del sindacato è stato in qualche maniera ritagliato su un modello politico proporzionale figlio della prima Repubblica. Uno schema che, a causa anche della crisi che ha investito i partiti tradizionali, oggi non è più riproducibile: questo impone la necessità di elaborare un nuovo modello in grado di difendere gli interessi di cui il sindacato è portatore in uno schema bipolare; avendo sempre attenzione alla funzione centrale, nelle democrazie moderne, dei corpi intermedi quali elementi vitali di una dialettica sana e democratica.”

Per molti soprattutto in politica il tema del rinnovamento si lega indissolubilmente con quello del cambiamento radicale delle classi dirigenti. Questa necessità è solamente della politica o riguarda in qualche modo anche il sindacato?

“Per quanto riguarda il sindacato, credo che il rinnovamento debba misurarsi sul piano della partecipazione. In un sistema come quello del Novecento la partecipazione delegata era lo strumento principale. Oggi, invece, il ruolo degli iscritti all’interno del sindacato diventa sempre più centrale. Il vero tema secondo me è proprio questo: il sindacato può essere ancora forte se è in grado di raccogliere le istanze degli iscritti, e del resto lo stesso accordo sulla rappresentanza va in questa direzione. Probabilmente anche nella selezione delle classi dirigenti c’è necessità che l’iscritto abbia un ruolo di primo piano, più importante e più diretto.”

Il rinnovamento significa anche saper adattare i propri obbiettivi ad un mondo che cambia. Quali sono secondo lei le sfide che la sinistra sarà chiamata ad affrontare?

“Penso che quello del lavoro sarà il vero spartiacque per la sinistra. In questo momento dobbiamo riuscire ad affrontare il tema della difesa dei diritti del lavoro che c’è – e che non può essere soltanto un problema del sindacato – e, nel contempo, guardare al tema del lavoro che non c’è, cosa che ormai riguarda tutti i paesi occidentali. Credo che la sinistra debba discutere soprattutto di come favorire processi di sviluppo che siano legati alla creazioni di nuovi posti di lavoro, non solo in ottica locale, ma anche globale.”

Renzi sembra puntare sul lavoro come una delle priorità per il Paese. Siamo sulla strada giusta?

“Senza dubbio lo sforzo di Renzi di rimettere al centro il tema del lavoro è lodevole, ma ancora non basta. Sicuramente l’intervento degli 80 euro a favore dei lavoratori dipendenti al di sotto dei 26 mila euro annui va nella giusta direzione, rispondendo ad una richiesta che la Cgil ha più volte rivolto agli ultimi governi che si sono succeduti. Quello che mi colpisce è che ancora si metta poco l’accento sulla parola diritti e, soprattutto, di come poco si affronti il tema a cui accennavo prima: come favorire processi di sviluppo collegati all’occupazione. Oggi non siamo più nel Novecento, quando era chiaro che quando c’era sviluppo c’era anche lavoro. Purtroppo adesso, sempre più spesso, assistiamo ad una crescita e ad uno sviluppo che non creano occupazione.”

Da molto tempo ormai si discute della fine delle ideologie, della necessità di rompere i legami con il passato. Secondo lei è possibile rinnovare le tradizioni della sinistra senza rifiutarle?

“Penso che la crisi della sinistra nasca proprio da questo. Molto spesso si è tentato di costruire nuove identità senza un ancoraggio ideale, un patrimonio valoriale da difendere. Certo è fondamentale per la sinistra riuscire a rimodellarsi sui cambiamenti della società, ma nel farlo non bisogna perdere di vista chi si rappresenta, la propria base e i propri elettori di riferimento.”

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