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1 Mar 2013

Economia a 5 stelle

Qualcuno si domanderà cosa effettivamente propone il primo partito italiano per uscire dal baratro della nostra economia stagnante. Analizziamo sia il programma che si ritrova dal blog di Beppe Grillo che i 16 punti presentati il 27 dicembre, anche se i due programmi non si sovrappongono in modo perfetto.
Partiamo dal debito pubblico, si ritiene che la sua riduzione possa essere conseguita “con forti interventi sui costi dello Stato con il taglio degli sprechi e con l’introduzione di nuove tecnologie per consentire al cittadino l’accesso alle informazioni e ai servizi senza bisogno di intermediari”.
Affermazioni che non coincidono con i dati reali, Grillo parla di abolizione delle province e ritiene in questo modo ci possa essere una riduzione di spesa pubblica pari a 11 Mld di Euro, ma dovendo ricollocare i dipendenti ed affidare le funzioni di queste ad altri enti, l’effettivo risparmio sarebbe molto più basso pari a poco più di 1 Mld di euro così costituito: 170 milioni di euro “costo della politica” delle 110 province, con 858 assessori provinciali e 3.246 consiglieri; circa 750 milioni di euro secondo stime dell’Upi come abbattimento delle spese generali; 50 milioni di euro all’anno come risparmio legato ai costi delle consultazioni elettorali provinciali.
In relazione al mercato del lavoro il movimento 5 stelle propone di abolire la legge Biagi e quella di un “sussidio di disoccupazione garantito”, per il rilancio dell’economia si fa un riferimento a generiche “misure immediate per il rilancio della piccola e media impresa sul modello francese”, abolizione dei “monopoli di fatto, in particolare Telecom Italia, Autostrade, Eni, Enel, Mediaset e Ferrovie dello Stato” e mettere in opera “disincentivi alle aziende che generano un danno sociale (per esempio distributori di acqua in bottiglia)”

Inoltre durante le manifestazioni fa affermazioni del tipo: “…La crescita non dà posti di lavoro, li toglie. La Germania, negli ultimi vent’anni, ha raddoppiato la produzione di qualsiasi cosa. I posti di lavoro sono diminuiti del 15%”. Sono affermazioni palesemente false, infatti in Germania la produzione industriale è passata da 88,66 nel 1992 a 112,55 nel 2011, pur presentando un leggero calo nel 2012 attestandosi a 109,30. Si è verificato un incremento di circa 20 punti (dati Eurosat). Inoltre gli occupati in Germania sono passati da 36.480 mila a 39.737 mila nel periodo 1992-2011 con un aumento dell’8,9% tra il 1992 e il 2011. Il tasso di disoccupazione ha avuto un andamento a cupola, infatti si era partiti dal 6,6% del 1992 per arrivare al 11,3% nel 2005 e si attesta al 5,5% del 2012.

ImmagineUna serie di proposte sono riferite al funzionamento del mercato finanziario, si parte dall’ introduzione della class action, per poi passare all’abolizione delle scatole cinesi in Borsa, all’abolizione di cariche multiple da parte di consiglieri di amministrazione nei consigli di società quotate. Si parla inoltre dell’introduzione di un tetto per gli stipendi dei manager delle società quotate in Borsa e delle aziende con partecipazione rilevante dello Stato, del divieto di nomina di persone condannate in via definitiva come amministratori in aziende partecipate dallo Stato o quotate in Borsa, abolizione delle stock options e infine del divieto di acquisto a debito di una società. Il programma continua soffermandosi sul settore bancario richiedendo il divieto di incroci azionari tra sistema bancario e sistema industriale e per l’introduzione della responsabilità e compartecipazione alle perdite degli istituti finanziari per i prodotti finanziari che offrono alla clientela.
Una serie di richieste che esprimono abbastanza chiaramente gli interessi dei piccoli risparmiatori. Ma bisogna sottolineare che, per es. il divieto di incrocio azionario tra banche e industria in una situazione di crisi come l’attuale inasprirebbe la crisi. In relazione all’abolizione dei “monopoli di fatto”, essa per diversi settori è priva di senso: quando si tratta di monopoli naturali (come nel caso delle autostrade) l’abolizione della condizione di monopolio è, infatti, impossibile. Si potrebbe ipotizzare, in base alla loro configurazione industriale che li rende “naturali”, che siano da riportare sotto un controllo pubblico: solo così, infatti, la connessa rendita di monopolio potrebbe essere ripartita socialmente.
Grillo impernia una buona parte del programma sulla per poi cadere in un’affermazione : ”L’agenda Monti, sottoscritta con voluttà dal pdmenoelle, prevedeva un solo punto: lo spread, ma lo spread non si mangia e soprattutto non dipende da Monti, ma dalle agenzie di rating internazionali. Lo spread che è salito alle stelle in estate (colpa dei mercati?) e sotto i 300 punti a dicembre (merito di Monti?) è una variabile indipendente dal governo”. Direi che lo spread “si mangia”, infatti se aumenta vuol dire che i tassi di interesse dei titoli italiani sono aumentati rispetto ai tassi dei titoli considerati free risk (Germania) avremo aumento dei tassi dei mutui, e maggiore spesa pubblica per interessi che distrae denaro pubblico per altri interventi. Inoltre Grillo sostiene che sostiene infatti che le agenzie di rating sono le principali determinanti dello spread, che a sua volta è indipendente dalle politiche dello Stato Italiano (è quello che intende quando dice “[…] non dipende da Monti”)ma in realtà lo spread dipende dalla possibilità di rischio del debito dello Stato Italiano in rapporto a quello tedesco e quindi varia in funzione delle politiche economiche (passate, presenti e future) del nostro Paese.
Tale frammentarietà del programma di Grillo deriva proprio dalla mancanza di una reale visione politica coerente come conseguenza del carattere protestatario del movimento, ma ci sono sicuramente degli spunti di riflessione.

 

 

Scritto da

Luigi Cristiani

- Economista e appassionato di tutta la letteratura economica da Smith a Marx, da Keynes a von Hayek, da Modigliani a Friedman. Amo i fumetti della Marvel (Spider-Man, The Avengers, Fantastic Four, X-Men), lo squash, il tennis e il basket. Patito per il Napoli