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Forma e materia partito

Nel dibattito precongressuale del Pd c’è un’anomalia evidente, ma ha giustificazioni importanti. Innanzi tutto l’anomalia, che in breve può essere riassunta così: ancora una volta, si discute prevalentemente della “forma partito”, e non dei contenuti, della “materia partito” (programmi e valori), che quella forma dovrebbe veicolare nella società italiana. La prima esigenza che ne discende, è che probabilmente avere un segretario che per qualche anno si dedichi a costruire un luogo dove quei contenuti, anche ideali, abbiano radicamento stabile e programmatico non sarebbe male. Tuttavia la giustificazione dell’anomalia ha ragioni solide, che esprimo così: la potente crisi della rappresentanza (ai limiti ormai del collasso della delega democratica) in mano a partiti-apparato poco responsivi alla velocità (sondaggistica) che richiede oggi la “cattura di passo” del consenso e la sua spendita di governo. Da qui la ricerca di succedanei leaderistici che “saltino” in modo più o meno accentuato la selezione “filtrata” e “frenata” delle élites che il partito-apparato appunto “apparava”, idest preparava, anche non solo comunicativamente, ma magari anche un po’ sui problemi sottesi ai sondaggi. Il tema c’è. Ma il succedaneo leaderistico alla crisi della forma partito tradizionale, mentre magari va a bersaglio “elettivo”, cosa che per chi fa politica conta ovviamente, non è esente da rischi collaterali per la rappresentanza democratica. Qualche notazione, prendendo la questione dal lato dell’apparato. Da tempo, conseguenza ovvia della crisi dei partiti tradizionali, nell’apparato politico ‘allargato’, in cui rientrano non solo i quadri di partito, ma a pieno titolo sindaci, assessori, consiglieri, ha sempre più peso l’apparato-amministrazione, il partito insediato nelle istituzioni. Ora, se si smonta quel poco di partito non insediato nella politica ridotta ad amministrazione dei territori (mitologia che ha le sue pecche come ogni cosa umana), la leadership e le gerarchie di partito tendenzialmente saranno sempre più espressione della pura e semplice corporazione degli apparati locali politico-amministrativi. L’effetto prevedibile, anche in conseguenza del collasso del finanziamento pubblico, sul partito dei quadri “strutturati” e/o più o meno volontari, il partito “ditta” per dirla in modo vintage, sarebbe ridurlo a mera dependance del partito insediato nelle istituzioni. Il modello di partito che legittimamente (basta sapere quello a cui si va incontro) molti nel Pd hanno in mente è precisamente questo. L’apertura al civismo, alla società (ridotta ad una riserva di “popolo” per il leader) sarà assolta dal primarie-day per legittimarlo e dargli forza contro il cacicchismo locale, a sua volta impegnato nell’adozione dello stesso modello a scala. Un modello fondamentalmente demagogico che a ‘sinistra’ molti stimano essere l’unico in grado per vari motivi (di indirizzo mediatico prevalentemente) di contrastare il leader padronale del centrodestra, che ha da vent’anni dettato in Italia l’agenda politica della “forma partito”. Il modello ha, in Italia, aspetti ‘congiunturali’ (Berlusconi passerà…) sottaciuti. E per giunta si è dimostrato inefficace alla prova del governo, come dimostrano gli ultimi vent’anni, per il semplice fatto che più che aprire al nuovo, fin qui ha coperto e raccolto il vecchio che voleva sopravvivere, perché nulla cambiasse mentre tutto cambiava (paradigma fondativo: Forza Italia, il nuovo che doveva avanzare sulle rovine delle sgangherate macchine da guerra della prima agonizzante – e magari un po’ risorta a destra… – repubblica). Sono dettagli subcongiunturali, che nell’ambito pratico interno oggi al mondo Pd di questa mutazione delle forme della rappresentanza, in assenza di un serio dibattito sulla “materia partito” (programmi e idealità),  siano visibili ad occhio nudo processi di diffusa transumanza da sopravvivenza di ceto politico da quella a questa posizione (si chiamano riposizionamenti) senza una leggibile credibilità di non pochi ripensamenti. Ma questa è parva materia, e fa parte del gioco. Il gioco grosso è: com’è possibile evitare alla democrazia italiana la scelta del diavolo tra il leader “demagogico” a sinistra e il leader “plutocrate” a destra?   Se si vuole qualcosa di nuovo, anzi d’antico, avrebbe detto il poeta, il nuovo sarebbe uscire da questo dilemma. Come possiamo portare nel Pd, e tramite il Pd nel Paese (ritenetelo scritto in grassetto) qualcosa di nuovo in questo senso? Vogliamo parlarne un po’? O è inutile perdere tempo, tanto i sondaggi…

Scritto da

Eugenio Mazzarella

- Eugenio Mazzarella, napoletano, insegna filosofia all'università "Federico II", della cui Facoltà di Lettere è stato preside. Sui interventi su temi etici e culturali sono frequentemente ospitati su diverse testate nazionali. Collabora a Il Mattino. Deputato del Pd nella XVI legislatura.

  • laura franza

    forse non è legale, ma un controllino sui conti correnti dei parlamentari si può fare, così, tanto per vedere se qualcuno ha sfasciato il partito per tornaconto personale …