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I sindacati europei cercano una nuova via

Pubblicato su MerqurioBlog

ETUC

“Una nuova via per l’Europa”. È questo il nome dell’ambizioso piano programmatico presentato dalla Confederazione europea dei sindacati (Ces) per promuovere gli investimenti, la crescita sostenibile e l’occupazione di qualità in vista delle elezioni per il rinnovo del parlamento Europeo. Dopo una lunga fase di confronto e di studio, conclusasi il 7 novembre del 2013,  l’organizzazione,  che raccoglie le maggiori sigle sindacali europee, ha deciso per la prima volta di far sentire con forza la propria voce per realizzare “un intervento rapido e radicale per fare uscire gli stati dall’immobilismo e da quella spirale che spinge verso il basso tutto il continente”. Tutto nasce dall’iniziativa della tedesca Dgb che per prima ha elaborato un programma articolato dal titolo “Un nuovo piano Marshall per l’Europa” e dalla Cgil di Susanna Camusso, nel frattempo eletta vice presidente dell’organizzazione sindacale europea. Il cuore della proposta consiste in un piano di investimenti, pari al 2% annuo del Pil del bilancio europeo, su nove settori chiave: energia, trasporti e infrastrutture, istruzione e formazione, estensione della banda larga, politica industriale (soprattutto in sostegno della piccola e media impresa attraverso meccanismi di microcredito, prestiti a bassi interessi), servizi pubblici e privati, infrastrutture e alloggi per anziani, edilizia sociale e gestione sostenibile delle acque.

I soli investimenti nella politica energetica, secondo gli studi dell’Eclm (Economic council of the labour movement), potrebbero generare, nel periodo 2015-2019, circa 11 milioni di nuovi posti di lavoro. Stime importanti che però si scontrano contro la solita domanda: ma le risorse ci sono? Secondo la Ces tutto dipende dalla volontà politica. Dal 2008, infatti, sono stati spesi circa 1.000 miliardi di euro (il solo fondo salva banche tedesco Soffin è costato circa  480 miliardi di euro) per salvare le banche del continente senza riuscire a risolvere la crisi. Se il nuovo Parlamento europeo decidesse di intervenire allo stesso modo per realizzare nuova occupazione si potrebbe creare facilmente un fondo per assicurare investimenti per 260 miliardi annui, fra quelli diretti (160) e prestiti a bassi tassi agli investitori privati (100). A tale raccolta (chiamata Future Fund) si aggiungerebbero poi i proventi della tassa sulle transazioni finanziarie, e sulle fortune e alti redditi (oltre i 500mila euro).

Per evitare possibili sprechi di risorse, la direzione, il coordinamento e l’applicazione degli investimenti, potrebbero essere affidati a organismi già esistenti come la Banca europea degli investimenti (Bei) o a nuove istituzioni designate da Stati membri, Commissione e Parlamento Ue. Tutte queste istituzioni dovrebbero attivarsi per “ricevere e gestire il capitale sociale iniziale e ottenere finanziamenti supplementari mediante l’emissione di obbligazioni a lungo termine che matureranno un interesse annuo, sfruttando i grandi volumi di risparmio, sia all’interno che all’esterno dell’Unione europea, in cerca di opportunità di investimento sicure. Il metodo standard dovrà essere investimenti diretti, prestiti a tassi agevolati, contributi per investimenti e/o le obbligazioni di progetto introdotte di recente.”

Quello che ovviamente non sfugge al sindacato di Bruxelles è che le misure economiche da sole non possono bastare. Senza un budget Ue basato su risorse proprie, senza una progressiva armonizzazione fiscale e senza una politica industriale comune “l’Europa rischia di rimanere intrappolata in una spirale che rischia di far naufragare l’intero progetto dell’Europa Unita”.  La sfida della Ces è lanciata, spetta al nuovo Parlamento raccoglierla non solo per uscire dalla crisi, ma soprattutto per ridare senso alla costruzione di un’Europa che sia davvero al servizio dei cittadini.

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