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6 Set 2013

IMU, Tares, Teser…W i proprietari

Alcuni penseranno finalmente niente più Imu e Tares, ma dal primo gennaio 2014 nasce una nuova imposta sui servizi comunali che si chiamerà Taser, acronimo di service tax.

L’imposta sarà riscossa dai Comuni ed è costituita da due componenti: gestione dei rifiuti urbani e copertura dei servizi indivisibili. La prima componente della nuova tassa, la Tari, sarà dovuta da chi occupa, a qualunque titolo, locali o aree suscettibili di produrre rifiuti urbani. Le aliquote, commisurate alla superficie, saranno parametrate dal Comune con ampia flessibilità ma comunque nel rispetto del principio comunitario “chi inquina paga” e in misura tale da garantire la copertura integrale del servizio.
La Tasi invece sarà a carico di chi occupa fabbricati. Il Comune potrà scegliere come base imponibile o la superficie o la rendita catastale. Sarà a carico sia del proprietario (in quanto i beni e servizi pubblici locali concorrono a determinare il valore commerciale dell’immobile) che dell’occupante (in quanto fruisce dei beni e servizi locali). Il Comune avrà adeguati margini di manovra, nell’ambito dei limiti fissati dalla legge statale. Ed ecco le prime reazioni, come quella dell’Unione Inquilini, il cui presidente, Walter De Cesaris, avverte:“Più che un piano casa sembra un piano sfratti che travolgerà oltre tre milioni di inquilini. In vista un “rischio tsunami degli sfratti per morosità”.

Ma vediamo come il governo ha pensato di trovare i quattro miliardi necessari per compensare il gettito Imu di quest’anno. Per la prima rata (2,4 miliardi) la soluzione è pronta: 1,2 verranno dalla maggiore Iva dei creditori statali che stanno staccando le fatture per gli arretrati, altri 700 milioni – e nonostante le proteste di Confindustria servizi – arriveranno dal settore dei giochi, in particolare dalla chiusura (via sanatoria) di un vecchio contenzioso con le società che gestiscono le slot macchine. Il resto (circa 500 milioni) li dovrebbero garantire un po’ di tagli alla spesa dei ministeri e dei cosiddetti contributi alle imprese.

Su come coprire gli altri due miliardi c’è tuttora incertezza. Un meccanismo che permetterebbe agli istituti di innalzare i ratio patrimoniali e all’Erario di incassare più tasse dalle plusvalenze per almeno un miliardo. Ma si tratta di un meccanismo che deve passare dall’ok di Bruxelles, e dunque molto aleatorio. Di qui l’ipotesi di un piano B che prevede la più classica delle soluzioni, l’aumento delle tasse indirette. Solo oggi sapremo come andrà a finire, qui ci limiteremo a raccontare quel che fonti di governo valutano come possibili rimedi: far scattare l’aumento Iva dal 21 al 22% previsto per il primo ottobre (vale un miliardo di euro), un ritocco delle accise sulla benzina, alle imposte di registro e di bollo.

Anche il Financial Times interviene sulla sostituzione dell’imposta con la service tax e ne dà una lettura che sottolinea il prezzo che il premier ha dovuto pagare al pdl per garantire la prosecuzione della vita del governo. “Una stabilità politica”, pagata però a “caro prezzo” perchè a questo punto, tra le varie cose, è “in pericolo” restare entro il limite di deficit del 3%”. Per il Financial times in conclusione se “il cavaliere può cantare vittoria sui rivali” del pd, “a perdere ancora una volta è l’Italia.

Inoltre il provvedimento presente altri interventi tra cui una riduzione della cedolare secca sugli affitti a canone concordato (che scende dal 19 al 15%) e l’esenzione per le case invendute. L’intervento si sostanzia come ulteriori vantaggi per i proprietari di immobili (secondo le intenzioni del ministero, per far emergere i redditi da affitti “in nero”) senza un reale beneficio per le casse dello stato. Infatti come già evidenziato dal Sole 24 Ore e confermato poi da uno studio della Cgia di Mestre che rilevava come la cedolare secca introdotta nel 2011, con l’obiettivo di inasprire la lotta contro gli affitti in nero. «Nei primi due anni l’Erario ha incassato 5 miliardi di euro in meno e gli affitti non dichiarati in Italia, ad oggi, sono quasi un milione».

Quindi la cedolare secca non ha migliorato un quadro desolante, anzi, a due anni dalla sua introduzione si è dimostrata un autentico flop.  “Questa è l’ennesima dimostrazione – dichiara Giuseppe Bortolussi, segretario della Cgia di Mestre – che il contrasto di interessi non funziona. Possiamo dare agevolazioni e sconti, ma la gente preferisce non pagare nulla piuttosto che pagare poco. Anziché continuare ad accanirsi su chi è conosciuto dal fisco, è necessario anche in questo caso concentrare l’attività di contrasto all’evasione su chi opera completamente in nero attraverso una più incisiva attività di intelligence”.

“Allo stato attuale – prosegue Bortolussi – non si può dire con assoluta certezza quanto ”nero” sia emerso, comunque si ritiene che la ”cedolare secca” abbia solo scalfito l’enorme sommerso che regna nel mercato senza intaccarlo in maniera decisa. Il gettito incassato dalla ”cedolare secca” e’ stato molto inferiore alle attese: 675 milioni di euro contro 3.194 milioni attesi. Nel 2012 le cose non sono andate molto meglio: a fronte di 3,5 miliardi previsti, il fisco ne ha incassati solo 976 milioni”.

I numeri che non lasciano scampo e evidenziano che tra il pagare poco senza rischiare e non pagare nulla rischiando, pare che gli italiani preferiscano sempre la seconda strada.

Scritto da

Luigi Cristiani

- Economista e appassionato di tutta la letteratura economica da Smith a Marx, da Keynes a von Hayek, da Modigliani a Friedman. Amo i fumetti della Marvel (Spider-Man, The Avengers, Fantastic Four, X-Men), lo squash, il tennis e il basket. Patito per il Napoli