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11 Ago 2012

L’Apparato e il potere della finanza.

di Angelo Giubileo.
Ma il conflitto sull’asse Nord-Sud non è un conflitto ideologico e non oppone diverse visioni del mondo. In altre parole: anche il Sud del mondo è entrato potentemente in scena come pretendente al controllo dell’Apparato (Dario Smizer)
Come in un film di Montalbano, gli fu detto che si trattava di cosa delicata assai, sulla quale già molti avevano indagato, tra dubbi e sospetti, non giungendo mai tuttavia a nulla di definitivo. Come il lettore a breve capirà, si trattava e si tratta ancora della crisi, originaria, dei mercati finanziari internazionali che potrebbe ancora essere causa di un’ulteriore crisi recessiva, di tipo economico-produttiva, su scala globale.
Si fece, allora, rapidamente riepilogare i risultati raggiunti. Gli fu detto che non era un dato da tutti acquisito, e tuttavia si doveva innanzitutto e ragionevolmente supporre che rispetto alle crisi finanziarie precedenti – in un arco di venticinque anni o poco più dalla fine degli anni Settanta, in ambito internazionale ne erano state contate almeno diciassette giudicate importanti -, stavolta la crisi aveva a che fare sostanzialmente con il fatto che, dopo sessant’anni, poteva considerarsi terminata la fase di espansione del credito basata sull’egemonia statunitense e la possibilità per parte propria di controllare le riserve monetarie internazionali.
Tuttavia, non pochi imputavano ancora l’esplosione dell’attuale crisi all’avvento di un fenomeno, sovente male interpretato, come la globalizzazione e in particolare alla globalizzazione dei mercati internazionali. Ma, in proposito, era apparso subito chiaro, già poco dopo l’origine della crisi dei mutui subprime, esattamente nel 2007, che una politica governativa di scarsa o assente regolamentazione aveva prodotto in svariati ambiti di mercato un uso eccessivo del meccanismo della leva finaziaria (leverage) – potenza dell’Apparato! -, con la conseguente creazione di profondi squilibri e ripercussioni in ambiti non solo finanziari ma anche economico-produttivi. E ancora, che solo alcuni avevano pensato allora che la crisi avrebbe potuto estendersi anche oltre-atlantico in misura tale da generare la crisi di debito pubblico, di alcuni paesi sovrani, membri dell’Unione Europea; una crisi di tale portata, da far ritenere, ora per parte loro, addirittura in dubbio l’esistenza dell’Unione stessa.
– E oggi?! Gli fu detto, che più di qualunque altra cosa, si parlava del fatto che in termini proporzionali il valore della ricchezza finanziaria (quella che Sartori sul Corriere della Sera continuava a definire un’economia di carta) complessiva era da ritenersi almeno (!) dodici volte pari a quella reale (di beni, merci e servizi); e pertanto, a dispetto dei nostalgici, di vari genere e specie, salvo estesi e violenti conflitti armati, questa situazione poteva rappresentare esattamente un punto di non-ritorno. In più, di recente, il gruppo di studi coordinato dal noto finanziere George Soros aveva elaborato una proposta di uscita dalla crisi globale incentrata su un modello di (maggiore e, per il futuro, completa) integrazione finanziaria dei mercati, a partire da quello europeo. Già nel 2008, Soros aveva scritto: “un ritorno alle condizioni esistenti all’indomani della seconda guerra mondiale sarebbe un grande errore. La disponibilità del credito stimola non solo la produttività ma anche la flessibilità e l’innovazione. La creazione del credito non va imbrigliata più del dovuto …” (Cattiva finanza, ed. Fazi 2009, pag. 139, s.).
Sembrava proprio che al racconto non dovesse aggiungersi più nulla, ma, per ritornare ai vecchi fatti, essenzialmente di casa nostra, rivolto ad uno degli astanti, che si diceva essere un esperto di cose economiche, il nostro rapidamente aggiunse: – e mi dica, cosa si dice della proposta del Pdl, si chiama ancora così nevvero?, di riduzione del debito pubblico di almeno 400 miliardi in cinque anni?
– Se ho capito bene, disse l’economista, ho letto sul Sole 24 Ore che si tratta di una proposta di riduzione del rapporto debito/Pil sotto il 100% in cinque anni, a fronte di un impegno viceversa assunto dal governo Monti, di riduzione del rapporto, in un arco viceversa che va dal 2012 al 2015, di nove punti percentuali, dall’attuale 123,4% all’ipotizzato 114,4%. E quindi precisò: – ho letto anche che l’iniziativa del governo in carica punterebbe quasi esclusivamente sull’aumento del Pil nominale, in maggior parte dovuto alla crescita reale e per la parte residua all’aumento dell’inflazione; in sintesi, per valori pari a:
crescita reale             -1,2 (2012)      +0,5 (2013)     +1,0 (2014)     +1,2 (2015)
inflazione                    1,7 (2012)       1,9 (2013)       1,8 (2014)       2,0 (2015)  
Prima che, come gli era stato chiesto, chiarisse la proposta alternativa del Pdl, l’esperto venne interrotto bruscamente: – pensavo di avere capito, ma non ne sono più tanto sicuro; se il problema prioritario è la spesa per interessi sul debito pubblico, come si può pensare che una crescita ipotizzata, così risicata (!!!), del Pil per il prossimo triennio sia in qualche modo utile a rimettere le cose definitivamente a posto per la nostra economia, di carta, beni, merci e servizi, che peraltro proviene già da una fase decennale di crescita in media inferiore all’1% circa?      
L’esperto rispose che non lo sapeva, ma che si attendeva molto dall’Europa e, precisando al meglio, in particolare dalla capacità illimitata della BCE di produrre credito.
Fu così, che il nostro si rimise al lavoro.
di Angelo Giubileo.

Scritto da

Redazione LPP

- Redazione de La Prima Pietra