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12 Apr 2013

Le mani sotto la città

È il 4 marzo. Alla Riviera di Chiaia, civico 72, crolla un’intera ala del palazzo. A pochi metri il cantiere della Linea 6, ex Ltr (linea tranviaria rapida), una delle opere previste per i mondiali di calcio Italia ’90, supervisionati da Montezemolo. Un trenino sotterraneo che doveva collegare inizialmente non solo Mergellina a Fuorigrotta, ma allungarsi fino a Ponticelli. All’epoca, i ministri fecero pure il viaggio inaugurale. Poi però venne fermata: per collaudo, si dirà. Di certo pesò lo scandalo della tangentopoli napoletana che svelò le mazzette miliardarie a tutti i partiti, e portò ad arresti e fallimenti della Supercricca che è riuscita a fare allungare i lavori delle metro per oltre 35 anni. Il canale della Manica è costato 100 milioni di euro al chilometro ed è stato realizzato in sette anni; la linea 1 della metropolitana di Napoli costa ad oggi 200 milioni di euro al chilometro e i lavori sono in corso dal 1976, finendo nel ’92 sotto un’inchiesta che ha verificato il costo di 1.625 miliardi per costruire 4.800 metri di strada in galleria. Soltanto il tratto Dante-Università, affidato alle imprese concessionarie Impregilo, Astaldi, Pizzarotti e Fiore è costato 1,4 miliardi di euro; per la linea 6 i costi sono di 300 milioni di euro al chilometro e sui cartelli di cantiere, come spesso a Napoli, non sono indicate date d’inizio e fine lavori.

linea6 e ChjaiaE quelli della metropolitana di Napoli non sono scavi normali, ma scavi archeologici: le “sorprese” trovate, e spesso danneggiate, sono “incidenti” che si vanno a cercare, e non per amore dei beni culturali, ma per poter incrementare i tempi e quindi il costo delle opere, come denuncia il geologo Franco Ortolani.

Ancora oggi vengono concessi incentivi record dal Comune per i lavoratori del metrò: sono recentemente stati distribuiti tra 27 dipendenti 1,5 milioni per l’avanzamento della Linea 1, Ennesima vicenda oscura, su cui la Cgil ha chiesto chiarimenti, visto che la disposizione è firmata dai maggiori beneficiari degli incentivi.

Ma torniamo alla linea 6: nel 1990 la “talpa” che scava sotto Piedigrotta, sprofonda. I cantieri chiudono e parte un contenzioso tra Atan (l’azienda municipale dei trasporti che allora aveva stipulato il contratto, che poi passò ad Anm e infine al Comune) e Ansaldo.

Il Comune di Napoli riprende il progetto solo nel 1997 e lo trasforma in metro leggera sotterranea, riducendolo a 8 fermate. Di queste, quattro sono in funzione e quattro ancora in costruzione. O meglio: le 4 funzionano solo la mattina, visto che ricalcano inutilmente il percorso parallelo della Linea 2 e della Cumana e quindi pochissimi le usano. Un’opera che ha avuto costi enormi, oltre a gravissimi impatti sull’equilibrio idrogeologico, già fragile, della città.

Ma come si risolse il contenzioso tra il Comune e l’Ansaldo, come si arrivò a stipulare un nuovo accordo? Non lo sappiamo. Secondo l’on. Sergio Cola di Alleanza Nazionale, nell’interrogazione parlamentare a risposta orale 3/04924 del 18/01/2000, pare che fu firmato un atto pacificatore: visto che il contenzioso avrebbe provocato danni enormi per entrambe le parti, sembra che si rivivificò il contratto precedente con una trattativa privata, per un tracciato diverso, e quindi per un’opera diversa, che sarebbe quindi dovuta passare per una gara internazionale.

I cantieri ripartono, i finanziamenti ritardano: solo nel 2006 il Cipe stanzia oltre cento milioni di euro per il completamento, con lavori da consegnare nel 2010. Ansaldo comunica, nel 2007, che ha acquisito dal Comune di Napoli il contratto per un valore di 533 milioni di euro. Ma la delibera del Cipe viene bocciata dalla Corte dei Conti nel 2008, per la poca trasparenza sui finanziamenti e per il rapporti non chiari tra Comune di Napoli e Ministero della Difesa sulla soppressione nel dicembre 1999 dell’Arsenale Esercito Napoli sito in via Campegna. Inoltre, nel marzo 2009 viene denunciato il furto della documentazione relativa al progetto della linea 6 e in particolare dello studio d’impatto ambientale. Però una relazione istruttoria della commissione VIA e lo stesso decreto di VIA della regione sono successivi al furto: come possono esser stati prodotti, senza i documenti rubati?

Il geologo Riccardo Caniparoli, come ripetuto recentemente alla presentazione del libro «La metrocricca», già nei primi mesi del 1990 avanza i primi dubbi sul progetto. Viene zittito poiché intorno a quest’opera gravitano come consulenti pezzi grossi dell’intellighenzia italica: tra i vari professoroni c’è il consulente geotecnico prof. ing. Pietro Lunardi, poi ministro delle Infrastrutture del governo Berlusconi; mentre il duo Bassolino-Cascetta partoriva la metropolitana regionale e rilanciava la linea 6, l’azienda della famiglia Lunardi, la Rocksoil, viene autorizzata come progettista dall’Autorità Garante per la Concorrenza, presieduta da Antonio Catricalà – divenuto poi sottosegretario alla presidenza del consiglio del governo Monti – senza rilevare conflitto di interessi; e c’è pure il prof. ing. Renato Sparacio, come progettista delle strutture, che da del “portaiella” a Caniparoli, e che poi diventa presidente della commissione di “saggi” del Comune di Napoli per controllare i lavori della linea 6…

Ma torniamo ai cantieri di Chiaia e al crollo: la galleria è stata realizzata a 37 metri sotto il livello del mare, per evitare zone melmose e favorire l’avanzamento della talpa. Ma questa scelta non ha risolto i problemi derivanti dall’intercettazione della falda artesiana, ovvero quella termale del Chiatamone, ricca di sostanze aggressive che favoriscono l’invecchiamento delle strutture in cemento armato. Nel momento in cui sono iniziati i lavori, la galleria della Linea 6 è diventata una specie di diga sotterranea, innescando il sollevamento del livello della falda dolce, che viene dalle colline, e favorendo quindi l’intrusione dell’acqua marina che entrando si impantana sotto la Villa comunale, facendo pure morire gli alberi secolari ad alto fusto, e mettendo in serio pericolo tutta la vegetazione. È di pochi giorni fa l’abbattimento di altri 31 alberi.

I segnali di rigetto dell’opera si sono già manifestati in molti modi: il suolo si è abbassato, i fabbricati lesionati, esistono voragini e allagamenti di acqua di falda, si sentiva uno strano odore di zolfo. Ed infatti l’acqua termale è fuoriuscita, inondando ad esempio la zona di Rione Sirignano: la Ansaldo da allora l’ha deviata direttamente in fogna, affermando di essere autorizzata a farlo. Ma nessuno ha mai visto quest’autorizzazione di una pratica illegale, come denuncia Caniparoli, e che potrebbe contribuire a far diventare la Villa un deserto. Il geologo ha affermato, inoltre, che sarebbe bastato spostare il cantiere più in alto, per evitare molti dei problemi incontrati: all’altezza di Via Andrea D’Isernia, una zona in cui si sarebbe dovuto scavare il tufo, senza la presenza delle falde incontrate invece a valle.

Infine è arrivato il crollo del civico 72. L’edificio crollato mostra come il terreno sarebbe stato risucchiato, provocando un “sifonamento” non completo. Questo perché le sabbie marine vulcaniche presenti nel sottosuolo galleggiano, e vengono trasferite velocemente dalle acque, in continuo spostamento. Secondo Ortolani, il crollo parziale sarebbe dovuto proprio al rifluire dei sedimenti che stavano alla base del palazzo, risucchiati dalla stazione Arco Mirelli in seguito ad una probabile “falla” nella struttura, determinando un “vuoto”. Ed il monitoraggio del sottosuolo, coi piezometri, non ha funzionato a dovere. Per fortuna non c’è scappato il morto, dato che gli abitanti (che ormai sono sfollati, senza casa) sono riusciti in tempo ad evacuare lo stabile, e dato che l’edificio era in tufo: se fosse stato in cemento sarebbe imploso del tutto. Ed il rischio adesso è che il danno aumenti.

Che fare? Caniparoli ed Ortolani lo hanno detto chiaramente: se c’è un rischio, e le avvisaglie ci sono già state, i lavori vanno fermati. Si deve ristabilire l’equilibrio, per poi capire cosa è successo. Ed il sindaco, che è autorità di protezione civile, in caso di evento naturale e/o antropico deve farsi carico della situazione. Ma ad oggi, dopo oltre un mese, non si hanno molte notizie, a parte i proclami riguardanti la messa in sicurezza del palazzo crollato.

Scritto da

Massimo Ammendola

- Classe 1985. Specializzando in Storia e Ambiente e laureato in Lettere Moderne all'Università degli Studi di Napoli «L'Orientale». Come direttore della rivista «Città Future» si occupa dei temi della transizione e della resilienza, ovvero della ricerca teorica e pratica di modi di vivere alternativi al modello capitalistico. Attivista nell'Assise della Città di Napoli e nei comitati campani impegnati nella salvaguardia dell’ambiente, della terra e della salute. Curatore del libro-inchiesta «Il destino di Napoli est. La pianificazione di un disastro: la nuova centrale a turbogas, il nuovo Terminale Contenitori e l’inceneritore» (2008) e «L'inganno dei termovalorizzatori» (2012)

  • Angelo Leopardi

    In realtà quello che mi preoccupa di più dell’approccio di Ortolani è la certezza con la quale espone le proprie interpretazioni. Che esista una connessione fra i lavori della Metro e il crollo della Riviera ce lo dice il calcolo delle probabilità, ma accanto alla teoria dell’innalzamento della falda provocato dai lavori se ne possono formulare altre. Non vorrei che, nello sforzo di semplificare, si vada verso un sacrificio della verità scientifica.

  • Lucia Rocco

    Certo la situazione che descrive Massimo Ammendola in questo dettagliato articolo è drammatica e, direi quasi, sconfortante!
    Da archeologa e da viscerale amante di questa città, mi sento in dovere di “polemizzare” con il dott. Ortolani che viene citato nell’articolo.
    In primo luogo mi domando: come pretende il dott. Ortolani, che pure avrà approfondite nozioni di stratigrafia, trovare resti architettonici archeologici “non danneggiati”?
    Seconda questione: che intende il dott. Ortolani quando dice che le “sorprese” (si dice scoperte, comunque!) si vanno cercando per incrementare il costo delle opere? Se è vero che per la metropolitana di Napoli ci sia stato uno spreco di denaro pubblico, non è assolutamente esatto dire che le scoperte archeologiche “sono incidenti che si vanno a cercare per incrementare il costo delle opere”: ciò che è stato trovato grazie agli scavi della metropolitana ha enormemente arricchito le nostre conoscenze riguardo l’impianto urbano della Napoli romana (ricordo che è stato trovato un tempio e parte di una porticus di età augustea negli scavi di Piazza Nicola Amore, solo per citare quello che meno è conosciuto dal grande pubblico) e della città aragonese.
    Gli scavi sono stati effettuati all’insegna delle più alte competenze, capacità e tecniche (cosa riconosciuta a livello internazionale), ma sembra che il denaro speso per la ricerca archeogica (in un’Italia accusata di non investire mai abbastanza nella ricerca e nella cultura) non sia giustificabile dal dott. Ortolani.
    La Campania, insieme al Lazio e alla Toscana, ha uno statuto speciale per la ricerca archeologica: quest’ultima ha la priorità assoluta su tutti i tipi di lavoro e intervento urbano, anche se si tratta di metropolitane e anche se la ricerca richiede molto, moltissimo tempo!
    Un’ultima cosa: le scoperte archeologice sono sempre “incidenti”! Nessuna grande, o piccola, scoperta archeologica è stata mai preceduta da una freccia luminosa nella quale campeggiava la scritta “scava qui”! Ma spero che il dott. Ortolani questo già lo sappia!