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Non chiamatele quote rosa

non chiamatele quote rosa

Sarò controcorrente, e ultimamente mi capita spesso, ma proprio non riesco a passare sopra la questione della bocciatura sulla parità di genere alla Camera, soprattutto se per veder rispettato un principio di uguaglianza dovremmo aspettare la prossima legislatura.  Piccoli passi sono stati fatti ieri  al Senato dove pare sia stato trovato l’accordo secondo cui a partire dal 2019 verrà garantita per le elezioni europee una presenza paritaria nelle liste e l’alternanza nel ruolo di capolista. Un accordo con una norma ‘transitoria’ per le prossime elezioni di maggio 2014, che prevede l’annullamento della terza preferenza nel caso in cui l’alternanza uomo/donna non sia rispettata.

Quando si tratta di legiferare per i diritti delle donne c’è sempre motivo per rinviare, per dire che il problema è un altro. Oggi però è il momento della sintesi e io non mi sottraggo ai miei doveri di relatore“, ha commentato la senatrice Lo Moro. Consolazione magra, anzi magrissima, perché il compresso trovato ieri non cambia di molto le cose. Ha ragione la senatrice: se  esiste una maggioranza, per di più trasversale, e conseguentemente una possibilità di sintesi che sa mettere tutti d’accordo, specie quando si parla di diritti, bisogna andare avanti. Invece non ci sono scuse per tirarsi indietro come è stato fatto anche per l’approvazione dell’Italicum.

In generale quello che emerge purtroppo è una sconfitta bruciante: non si tratta solo di una figuraccia dell’istituzione parlamentare ma di lesa maestà del diritto civile proprio in seno al Partito Democratico, a maggior ragione considerando che lo stesso partito contiene nel proprio statuto un chiaro impegno  per la promozione delle donne nella vita politica del partito e della Nazione.

Abbiamo passato l’intera campagna elettorale a parlare di donne, vantandoci che avremmo portato una ventata di novità e che avremmo rinnovato e reso il Parlamento italiano il più rosa e il più giovane della storia della Repubblica. Abbiamo realizzato video per comunicare la soddisfazione di quelle #duecentosessanta democratiche che, intervistate, si mostravano felici per l’obiettivo raggiunto. E poi? Abbiamo affossato tutto con un bel voto segreto!

Non sono una femminista accanita e nella mia attività politica mi sono sempre occupata di altri temi, ma non  posso che constatare con amarezza che in questi giorni la democrazia e i diritti civili hanno compiuto un passo indietro e che anche all’interno del mio partito esiste ancora un certo retaggio culturale che sembrava archiviato, un certo ostracismo latente, un certo blocco avvilente. Ci si nasconde dietro l’abusato “merito” e si svilisce il suo valore.

Il merito inizia dopo che a tutti viene data la stessa uguale opportunità, una volta che tutti e tutte sono stati messi nelle condizioni di partire dallo stesso punto. A quel punto chi ha più capacità va più avanti, o per lo meno dovrebbe… In fondo le regole del gioco, bisogna scriverle insieme.  Perché, diciamolo senza ipocrisia, per entrare in un listino bloccato non ci vuole merito.

Guardando fuori dall’Italia? Senza dubbio il panorama è diverso. In Europa la presenza femminile in Parlamento è in media del 25,6 %. Non sono molti i paesi che hanno introdotto le quote di genere nella legislazione nazionale, sono numerosi invece quelli in cui i partiti hanno adottato un regolamento interno sulla parità di genere. Le quote sono fissate per legge in Francia, Portogallo, Belgio, Spagna, Polonia, Lussemburgo, Grecia, Irlanda e Slovenia. La loro percentuale varia nei diversi paesi e dipende dai diversi sistemi elettorali.

In Francia, ad esempio, il meccanismo del rispetto della parità di genere è in diretta correlazione con l’accesso al finanziamento pubblico e ai rimborsi elettorali. Oltralpe infatti i partiti godono sia del finanziamento pubblico (pari a poco meno di 75 milioni di euro annuali) sia dei rimborsi elettorali (circa 43 milioni). Il finanziamento è versato anno per anno e si calcola in due quote: la prima è funzionale ai voti ottenuti e accessibile ai partiti che, concorrendo in almeno 50 circoscrizioni, totalizzano consensi che vanno da 1 punto percentuale in su; la seconda dipende dalla rappresentanza parlamentare, cioè dal numero di candidati eletti in Assemblea Nazionale e in Senato. Da tredici anni, la legge 2000-493 prevede sanzioni per le liste che non candidano una quota minima di donne: solo tra 2003 e 2007, lo Stato ha negato più di 7 milioni di fondi come sanzione per le “scelte discriminanti” dei partiti, in direzione opposta alla parità di genere prevista dalla legge. 

Ma non finisce qui. Se spulciamo un po’ i dati le cose non migliorano. Il Global Gender Gap Report 2013 pubblicato dal World Economic Forum, è un indice che analizza la distanza tra la parità uomo/donna nei vari Paesi del mondo. Inutile dire che l’Italia non brilla in classifica ed infatti si trova al 71° posto. Indietro, come al solito. Al primo c’è l’Islanda, seguito da Finlandia, Norvegia e Svezia e – udite, udite – al quinto posto ci sono le Filippine.

In Svezia, Islanda, Norvegia, Paesi Bassi, Regno Unito e Germania le quote di genere sono adottate dai partiti, e non sono stabilite per legge. Ma in compenso esistono diversi provvedimenti a tutela delle donne. In Danimarca, Finlandia, Lituania, Bulgaria, Estonia e Liechtenstein non esiste nessuna forma di regolamento per favorire la presenza femminile nelle liste elettorali, né parlamento. Eppure qui le donne sono soggetti perfettamente integrati grazie ad una serie di politiche ad hoc.

Allora si capisce perfettamente che la battaglia più grande da affrontare è proprio quella culturale. Una battaglia che, tuttavia, a causa di certi interessi o accordi, sembra messa in cantina. Una battaglia che avrebbe dovuto vedere anche in questo caso in prima fila l’unico partito progressista  in Italia. Qui non si tratta più di una questione di “quote”, come con disprezzo ama chiamarle qualcuno, ma stiamo parlando di democrazia, di cultura, di uguaglianza. Nella vita vera, nel mondo reale essere donna è difficile, ed oggi per motivi diversi quelle donne si sentono più sole nelle loro battaglie quotidiane.

Scritto da

Roberta Capone

- Classe 1983, mi definisco “donna con la valigia” perché sono sempre in giro. Orgogliosamente napoletana, la mia più grande passione è la politica. Da Aprile 2012 sono Vicepresidente IUSY (International Union of Socialist Youth).