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Rientro dei cervelli?

Una discussione che periodicamente ritorna all’attenzione dei media è quella sulla cosiddetta “fuga dei cervelli”. Storie di ottimi ricercatori italiani “fuggiti” in più accoglienti paesi, “costretti” a lasciare l’Italia per poter ottenere il giusto riconoscimento, negato in Patria, smuovono per qualche giorno l’opinione pubblica, qualche volta producono effimeri interventi legislativi per il “rientro” dei “cervelli”, per poi finire rapidamente nel dimenticatoio.

Uno di questi interventi è stato il “Piano di rientro dei cervelli” che ha introdotto le borse “Rita Levi Montalcini” e poi le chiamate dirette “per chiara fama”. E’ di questi giorni la lettera aperta al Ministro Profumo di quattordici ricercatori rientrati in Italia proprio con questo programma, e mai stabilizzati a causa dei tagli al Fondo di Funzionamento delle Università.

cervelliQuello che, di norma, non si dice è che la Ricerca è per sua stessa natura Internazionale, e i Ricercatori si muovono da sempre se vengono loro offerte opportunità e condizioni migliori. Il problema del Sistema Italiano, piuttosto, è la sua scarsa attrattività: i Ricercatori formati in Italia escono per andare in altri paesi, ma non c’è un analogo flusso in entrata di personale di alto livello, formato altrove.

Al di là dell’immagine triste e romantica dell’emigrante, è facile rendersi conto del costo di questa situazione per il Paese: personale altamente specializzato, per la cui formazione lo Stato ha speso decine di migliaia di euro in un paio di decenni (secondo le statistiche Eurostat far arrivare un giovane alla Laurea costa alla collettività circa 120’000 euro, e non viene qui conteggiato il costo di un eventuale Dottorato di Ricerca), viene regalato ad altri, mentre non esiste un analogo flusso dall’estero a compensarlo.

Le ragioni sono tanto semplici da spiegare quanto ardue da rimuovere:

1) il cronico sottofinanziamento della Ricerca in Italia, sia per quanto concerne la componente pubblica sia quella privata, che ovviamente rende esuberante il personale formato in Italia, non già rispetto alle necessità, quanto piuttosto ai fondi disponibili. Quest’ultimo elemento è cruciale: perché mai dovremmo attrarre ricercatori dall’estero quando i nostri sono già in esubero? Perché è solo attraverso la Ricerca che è possibile ridare slancio al Paese, visto che è ormai chiaro che la competizione fatta sul piano della riduzione dei costi del lavoro è perdente, se si resta sulla concorrenza nel manifatturiero con paesi dove un lavoratore viene pagato poche decine di euro al mese.

2) L’assenza di un serio sistema di valutazione della Ricerca, visto che l’esperimento dell’ANVUR (l’Agenzia Nazionale per la Valutazione dell’Università e della Ricerca) pare concepito da un dottor Stranamore e introduce criteri ormai rigettati in tutti i consessi civili. E tale assenza, associata al sottofinanziamento, esalta fenomeni di “cattiva gestione” che, anche se non generalizzati, sottraggono ulteriori risorse.

3) Una legge sull’immigrazione folle, che piuttosto che governare il fenomeno, cerca di intralciarlo partendo da posizioni preconcette e fortemente ideologiche, non prevedendo, come in altri paesi, sicuramente non meno teneri con l’immigrazione illegale come gli USA, corsie preferenziali per il personale di alto livello.

Un Governo che volesse contrastare seriamente la “fuga dei cervelli”, piuttosto che introdurre velleitari e scarsamente finanziati programmi di rientro, potrebbe affidarsi a poche ma efficaci misure:

1) rifinanziamento del sistema della Ricerca Pubblica ma, ancor meglio, ripensamento del sistema di aiuto alla Ricerca Privata, con la sostituzione integrale dei finanziamenti a fondo perduto con un regime di fortissimi sgravi fiscali per gli investimenti in Ricerca.

2) Rifondazione dell’ANVUR, rendendola assolutamente indipendente dal Governo, e introduzione di criteri di valutazione accettati in altri Paesi e noti a priori (non a posteriori come ora).

3) Introduzione di un sistema di visti e permessi di soggiorno e lavoro ad hoc per il personale di Ricerca e per i familiari, con procedure semplici e rapide.

Quanto detto sopra non vale strettamente per la Ricerca, ma è un fenomeno che coinvolge un significativo contingente di personale laureato che lascia ogni anno l’Italia senza un analogo flusso in ingresso. Sempre le statistiche Eurostat ci dicono che questo flusso in uscita ammonta a circa 7000 laureati per anno, moltiplicando per il costo sostenuto per portarli alla laurea, questo dato porta a uno “spreco” di quasi un miliardo di euro all’anno.

Investire in Ricerca vuol dire anche incrementare il livello tecnologico del Paese, e creare nuovi posti di lavoro ad alta specializzazione, che possano assorbire il nostro “eccesso” di laureati ma anche poter attrarre immigranti qualificati, che invertano il segno di questo bilancio.

Scritto da

Angelo Leopardi

- Ricercatore di Idraulica all'Universita' di Cassino. Si occupa anche dei problemi dell'universita' e della ricerca in Italia.