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2 Giu 2013

Svezia: la rivolta degli esclusi

Per una settimana i sobborghi più problematici di Stoccolma sono stati colpiti da disordini che sorprendono per la loro durata e continuità. Secondo i reporter di alcuni grandi giornali nordici, però, le nottate di incendi e vandalismi convivono con la quasi totale serenità e normalità quotidiana. Persino a Husby, l’epicentro del sisma, un quartiere periferico con solo il 20% di svedesi “etnici” sui 12.000 abitanti. E anche se disordini e sabotaggi (tra cui una linea ferroviaria interrotta e una stazione data alle fiamme) si estendono ormai ad altre zone della Svezia, e coinvolgono anche cittadini di retroterra etnico nordico. A colpire, in effetti, è non tanto il dato quantitativo, quanto quello qualitativo, che va oltre gli scontri con le forze dell’ordine. Già, insomma, è senz’altro fuori dall’ordinario (anche in paesi più tipicamente problematici) l’attacco a una stazione di polizia. Tuttavia, fin qui si tratta pur sempre di una classica conflittualità verso i tutori dell’ordine, di cui peraltro, in questi giorni, vengono diffusi anche i comportamenti inaccettabili: quello di avere ucciso forse con troppa precipitazione un sessantanovenne che brandiva un machete (l’episodio che avrebbe innescato i disordini). O quello di chiamare abitualmente “scimmie” i ragazzi di Husby.

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Ma ad avere colpito l’opinione pubblica è soprattutto la violenza contro i pompieri che spengono gli incendi appiccati nelle notti di violenza urbana. Per questo in un famoso social network si è diffuso a decine di migliaia di condivisioni il messaggio di un vigile del fuoco rivolto ad un immaginario ribelle: “Perché mi attacchi, perché mi ferisci mentre lavoro? Sono io che mi getto nell’acqua gelida se tua sorella sta per affogare. Sono io che rischio la vita se tua madre è intrappolata fra le fiamme“. Ad ogni modo, si sbaglierebbe nel ricercare nella società svedese la stessa violenza sistematica che sconvolge le strade dei paesi anglosassoni, in cui ragazzi muoiono a centinaia, abitualmente, in disumane guerre fra bande. E si sbaglierebbe anche a cercare nel potere costituito svedese l’atteggiamento repressivo di certa destra francese, quello che spinse Sarkozy a cominciare la propria campagna presidenziale già da ministro dell’interno, chiamando “canaglie” i rivoltosi delle banlieux più segregate e quindi più esplosive. Molti sociologi si sono affannati e individuare una particolare natura escludente del welfare nordico verso i cittadini di altra origine etnica, ma senza un esito minimamente riscontrabile nei dati: sia il modello di “assimilazione repubblicana” alla francese, sia il “pluralismo delle comunità” ispirato al liberalismo anglosassone scatenano traumi ben maggiori. Tutto sommato, tra i moltissimi difetti e limiti, anche il modello italiano, basato sulla convivenza “ravvicinata” (collaborazione familiare, microimpresa, lavoro informale nel commercio e nell’edilizia) ha, in confronto, una certa capacità di assorbimento.

 

disordini in sveziaE tuttavia gli svedesi non possono sottovalutare quanto accade. Non cadano cioè nel difetto di cui (con leggero malanimo) sovente mormorano gli altri scandinavi: celare le crepe di un sistema sociale senza dubbio avanzato e funzionante fino a quando poi i problemi esplodono. La Svezia è stata per esempio l’ultimo paese nordico ad avere in parlamento forze nazional-populiste, ma ora quelle forze (gli Sverigedemokraterna) sono presenti nel Riksdag con oltre il 6%, e con una propaganda senza scrupoli cercheranno di trarre vantaggio da quanto accade. Certo: negli altri paesi nordici il populismo di destra viaggia fra il 13 e il 20% dei consensi, ma con questa settimana di violenze l’emergenza è acuta anche in Svezia. Perché è vero che le periferie delle metropoli svedesi devono fare molto di più per combattere la segregazione urbana con politiche abitative più attive. Ad Husby, ma anche a Rosengård (il quartiere di Malmö in cui è cresciuto Ibrahimovic), l’alienazione metropolitana dà la sensazione di essere ancora più presente che nelle periferie di Copenaghen, Helsinki od Oslo. Soprattutto, l’economia svedese ha, rispetto agli altri paesi nordici, un problema di disoccupazione fra i 15 e il 24 anni ben più accentuato: oltre il 25%. A Husby, inoltre, il 30% dei giovani sono “NEET”, cioè senza studio né lavoro. Di sicuro spicca, in ciò, il fallimento delle false promesse del centrodestra di Fredrik Reinfeldt e Anders Borg, che da 7 anni governa il paese. La retorica per cui la “utanforskap”, l’emarginazione dei senza lavoro, dipendesse dall’eccesso di tutele di welfare e sindacati si è dimostrato privo di fondamento. Oggi la disoccupazione è all’8,7%, e nemmeno durante il primo mandato di questo governo (cioè prima che la grande crisi giungesse in Svezia) era mai andata sotto il 6% a cui nel 2006 l’avevano lasciata i socialdemocratici. Non basta: i programmi di attivazione per i giovani più in difficoltà sono in disarmo. Uno (Lärlingeplatser för ungdomar: apprendistato per giovani), che prevedeva corsi in più aziende e contemporaneamente frequentazione scolastica per migliorare nelle materie di base, doveva coinvolgere 3000 giovani al mese, ma ne ha attivati, dal 2006, appena 2000. L’altro (Jobbgarantin för ungdomar: garanzia di lavoro per giovani) riesce a coinvolgere l’8% delle fasce giovanili di riferimento, ma l’attività offerta è perlopiù la mera ricerca di lavoro. Non a caso il 56% dei coinvolti non riceve alcuna formazione, e il 60% circa non ne ricava maggiori motivazioni o informazioni. Pesa di sicuro la scelta di sottofinanziere l’AMS, autorità pubblica per il mercato del lavoro, che oggi è in grado di approntare 50.000 posti di attivazione in meno. Il centro-destra al governo mira così a competere mediante un’area più ampia di bassi salari (come in Germania) formata soprattutto di giovani più deboli nel mercato del lavoro. L’esatto opposto del modello nordico. E proprio quello che, alla lunga, si abbatte maggiormente sui figli dell’immigrazione e, in Svezia come altrove, può scatenare una rabbia improvvisa e disperata.

Per approfondire dello stesso autore dalla Radio svizzera Ticinese

Scritto da

Paolo Borioni

- Storico, dottore di ricerca all'università di Copenaghen, collaboratore del Center for NordicStudies e dell'Università di Helsinki. Si occupa di storia dei paesi nordici, storia del socialismo, welfare state, storia delle istituzioni politiche, temi su cui ha all'attivo molte pubblicazioni e articoli. Contribuisce regolarmente alla stampa quotidiana e a riviste di dibattito politico-culturale. Tifoso della SSLazio 1900 da tre generazioni, di sinistra da quattro generazioni.