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4 Nov 2013

Tiro a bersaglio su Letta: il déjà vu del 2007 su Prodi

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L’autunno del 2007, iniziato con l’incoronazione di Walter Veltroni leader del Pd, segnò ‘la fine politica’ del governo di centro-sinistra del ‘poeta morente’, Romano Prodi: “una stagione si è chiusa” ed ora serve “un governo nuovo”, spiegò il 4 dicembre l’ex-Presidente della Camera, Fausto Bertinotti: “Prodi [poeta] morente? È solo una citazione. Il poeta morente era Cardarelli. E Prodi non è un poeta”.

Il bel tandem Veltroni-Bertinotti minò alle fondamenta il secondo governo di centro-sinistra di Prodi, aiutato in quest’opera di demolizione da Silvio Berlusconi: al centro dei colloqui tra Veltroni e Berlusconi c’era la riforma elettorale, come oggi.

Vero è che, per la cronaca, il governo Prodi cadde a febbraio 2008 dopo che il ministro della Giustizia, Clemente Mastella si dimise perché la moglie Sandra Lonardo, allora presidente del Consiglio regionale della Campania, fu raggiunta dal provvedimento di arresti domiciliari da parte della procura di Santa Maria Capua Vetere: “mi dimetto per senso dello Stato”, di fronte, disse Mastella, a “un’ingiustizia enorme [..] fonte inquinata di un provvedimento perseguito con ostinazione da un procuratore che l’ordinamento manda a casa per limiti di mandato”.

E infatti il capo della Procura di Santa Maria Capua Vetere, Mariano Massei, il giorno dopo se ne andò in pensione. L’operazione 2007 si sta ripetendo oggi, sei anni dopo: il tiro al bersaglio sul governo di Enrico Letta vede come protagonisti, per motivi opposti e convergenti, da una parte Matteo Renzi, smanioso oltre misura di sedere a Palazzo Chigi, passando per la conquista di via del Nazareno, coadiuvato da Nichi Vendola che, come fece Bertinotti con Veltroni, ha fatto pervenire a Renzi le sue simpatie: “nonostante apprezzi molto il suo sforzo, dico che il ‘mai più larghe intese’ dovrebbe cominciare subito perché il governo delle larghe intese è un principio d’impoverimento ed immiserimento della lotta politica”.

E dall’altra parte il furente Berlusconi che, per evitare la decadenza da senatore, cerca, senza ricorrere al predellino del 2007, nel tiro al bersaglio sul governo Letta, l’appoggio del M5S, viste le aperture del suo profeta, Beppe Grillo: “se andiamo a sinistra siamo rovinati”, quindi si guarda ‘a destra’. E ironia della sorte come sei anni c’è anche oggi di mezzo il Guardasigilli, Annamaria Cancellieri, chiamata a riferire al Parlamento sul ‘caso Giulia Ligresti’ sull’opportunità politica dell’intervento per favorire il passaggio di Giulia Ligresti dal carcere ai domiciliari, per motivi umanitari.

Per il Guardasigilli si tratta di una vicenda in cui “[…] si sono innestati interessi politici che l’hanno strumentalizzata, con l’obiettivo di colpire il governo di larghe intese”. Si può riassumere il tutto nelle celebre battuta di Gianfranco Fini di sei anni fa all’indirizzo di Berlusconi: “significa esser alle comiche finali”. Un déjà vu insomma, che si gioca ancora sulla riforma elettorale e sul futuro del Pd: ai posteri, gli elettori delle primarie del Pd, l’ardua sentenza, tenendo bene a mente la disfatta elettorale del 18 aprile 2008!

 

Scritto da

Carlo Patrignani

- Romano, classe '53. Giornalista professionista dal 1987. Dopo aver collaborato con il settimanale della Cgil 'Rassegna Sindacale' sono stato responsabile dell'Ufficio Stampa della rFilcea-Cgil e successivamente collaboratore di 'Lavoro e Informazione', mensile fondato di Gino Giugni. Attualmente scrivo su Huffington Post e Formiche. Ho pubblicato 'Lombardi e il fenicottero' (2010) e 'Diversamente ricchi' (2012).