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24 Set 2012

Scandalo Fiorito: la fotografia di una società corrotta

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Auto di lusso, feste con ancelle seminude, cene elettorali che costano quanto guadagna in un anno un professore di scuola, e ancora attici e case nel centro di Roma a prezzi stracciati e lussuose ville nella campagna romana. E soprattutto un fiume di denaro, quantificabile in milioni di euro, che ogni anno transita dalle casse della Regione ai conti correnti privati dei consiglieri. E’ questo lo scenario da suburra che sta venendo fuori nel Lazio.  Uno scandalo che più di tutti sembra scoperchiare una realtà che a noi, comuni cittadini, era del tutto sconosciuta fino a qualche mese fa. Chi avrebbe mai potuto immaginare che, ancora più che i parlamentari, i veri privilegiati fossero i consiglieri regionali laziali che ogni mese, tra stipendi e benefit, si portano a casa 31 mila euro al mese, molto di più di quanto guadagna il Presidente della Repubblica e il premier messi insieme? Chi avrebbe mai potuto anche lontanamente supporre che, oltre al sontuoso stipendio, un qualsiasi consigliere intascava ogni anno 100.000 euro per finanziare il rapporto tra eletti ed elettori?
Eppure più che lo scandalo Lusi, l’affaire Lazio ci fornisce una fotografia non solo dello stato di salute della politica, ma più in generale della stessa società italiana. Se per un attimo mettiamo da parte i comportamenti da satrapi degli attori coinvolti, a cui purtroppo siamo abituati, ci accorgiamo che il vero protagonista dello scandalo sono quei 21 milioni di euro utilizzati per finanziare i rapporti elettorali. Dietro a questa montagna di soldi possiamo persino scorgere quella folla di personaggi che agiscono nell’ombra del sottobosco della politica, intascando quantità più o meno consistenti di denaro tramite consulenze, associazioni e gruppi elettorali dalla dubbia utilità, possiamo vedere il lavoro frenetico di organizzatori di feste, ragazze immagine, di p.r. e proprietari di ristoranti che si danno da fare per far svagare il loro dominus. Ci accorgiamo ,quindi, che intorno ad ogni consigliere gira un’intera economia che prospera grazie ai favori e a quel fiume di denaro che dalle tasche dei contribuenti arriva direttamente in quelle degli eletti. Un vera e propria “economia del politico” che, proprio come nella suburra classica, cresce e vivifica introno ai vizi e alle virtù del potente. Un mondo che, pensando di essere al riparo dall’indignazione popolare, garantisce sostengo elettorale e appoggio. C’è da scommettere che se si ripresentasse alle elezioni nel suo feudo di Anagni, Fiorito sarebbe facilmente rieletto con migliaia di voti, nonostante lo scandalo, nonostante ormai sia diventato un personaggio impresentabile per qualsiasi partito politico occidentale. E c’è da scommettere che, fin quando la situazione non diventerà veramente insostenibile, difficilmente i vertici del PDL si priveranno di una persona capace di portare in dote migliaia di voti al suo referente politico.
Ovviamente di fronte a questo sfascio nessuna reazione verrà dalla politica che per l’ennesima volta farà spallucce,  delegando alla magistratura  la facoltà di allontanare le mele marce.   La questione diventerà soltanto di tipo legale, come se la responsabilità di selezionare la classe dirigente fosse qualcosa di cui nessuno sa niente, un evento casuale che non dipende dalla volontà di nessuno. Persino  “l’economia del politico” verrà derubricata a questione strettamente privata, come se non fosse la punta dell’iceberg di un sistema in cui tutti, dai vertici del partito ai clientes, hanno molto da guadagnare e poco da perdere. Ma allora a chi spetta il compito di porre fine a questo stato di cose, alla magistratura o ai cittadini che si recano alle urne? Probabilmente una risposta a questa domanda può venire da un’intervista del mai abbastanza compianto Sandro Pertini datata 10 marzo del 1974. All’indomani dello scandalo del petrolio, Nantes Salvalaggio chiese all’allora presidente della Camera se il livello di guardia per la Repubblica democratica fosse stato superato. La risposta di Pertini fu laconica e dalla rara lungimiranza: “Continuando di questo passo, si va verso il suicidio. L’unica strada possibile è la correttezza. Spero che tutto sarà discusso in aula, e nessuna copertura sarà frettolosamente inventata. Dobbiamo toglierci il bubbone da soli e subito. Non basta il borotalco a guarire una piaga. Ci sono i ladri, gli imbroglioni? Bene facciamo prima noi i nomi e poi affidiamoli al magistrato”.
Purtroppo, a quasi quarant’anni da allora, nessun partito politico ha avuto il coraggio di fare quello che chiedeva Pertini: denunciare gli scandali prima che intervenga la magistratura o il furore popolare. E poi ci meravigliamo se l’antipolitica cresce ogni giorno.

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