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Un ventennio perduto

silvio-berlusconi-condannato-01Berlusconi è stato condannato in via definitiva per frode fiscale. Un reato particolarmente grave e infamante per chi ha guidato più volte un paese che già  è ai vertici mondiali per infedeltà fiscale. Questo è un dato di fatto, probabilmente l’unico punto fermo dell’intera vicenda. Nei prossimi giorni leggeremo e sentiremo centinaia di ricostruzioni, analisi, retroscena e interpretazioni. Con ogni probabilità ancora una volta i guai giudiziari del Cavaliere monopolizzeranno l’attenzione dei media nella torrida estate agostana.
Cosa comporterà questa condanna sul piano politico è ancora presto per saperlo, ma la vera questione è capire non se e quando finirà la Seconda Repubblica, ma soprattutto come finirà. Se la Prima Repubblica è stata inaffondabile per quasi mezzo secolo, ma si è inabissata in due anni, la Seconda è durata meno della metà, ma rischia di inabissarsi in un tempo molto più lungo. C’è da chiedersi infatti se ancora una volta sarà necessario far pagare il conto della fine del berlusconismo al paese, a tutti gli italiani, se, ancora una volta, dobbiamo prepararci ad una nuova stagione di grida e di scontri all’arma bianca, o se, al contrario, non ci sarà nessun redde rationem, nessuna lotta all’ultimo sangue e l’Italia si avvierà lentamente verso una stanca decadenza.

Molto dipenderà dal concatenarsi degli eventi, dalla seconda ondata della crisi incombente e soprattutto dagli umori della truppa berlusconiana. Umori che, visto lo stato confusionale che regna nel centro destra, neanche Berlusconi potrà facilmente prevedere o contenere.  Al momento è impossibile presagire se i suoi colonnelli lo seguiranno nello scontro finale o preferiranno abbandonare la nave, così come non è affatto scontato che senza la presenza diretta di Silvio il PDL non si sgretoli in mille faide interne e correnti.
E’ chiaro che da questi scenari dipenderà anche la sopravvivenza politica del Pd, un partito talmente fragile sotto il profilo identitario e organizzativo da rischiare di sgretolarsi insieme, se non prima del suo grande avversario. Anche perché, come ha brillantemente sottolineato Rino Formica, la sintesi politica dell’ultimo ventennio è stata lo scontro tra berlusconismo e anti berlusconismo e non tra socialismo e capitalismo, come dovrebbe essere. L’invitabile uscita di scena del Cavaliere porterà la sinistra tutta e non solo il Pd, a dovere affrontare una volta definitivamente il suo demone più grande, la madre di tutte le questioni che ancora è rimasta irrisolta, ovvero la “non-definizione” della sua identità. Fin quando è stato al potere Berlusconi è stato possibile rispondere, più o meno, alla drammatica domanda di morettiana memoria “dì qualcosa di sinistra” semplicemente affermando un’identità al negativo. Di sinistra è chi lotta contro il caimano, chi ama la costituzione, chi ha la faccia pulita. Questa risposta ha avuto spesso un significato nebuloso, contraddittorio, incentrato su di un presente di “indignazione”, senza nessun ideale, nessun afflato capace di scaldare i cuori, senza nessun “sol dell’avvenir” a cui mirare. Per anni la sinistra ha perso la sua capacità di essere progressista nel senso più nobile del termine, ovvero di immaginare un futuro nuovo per la società, ed ha condotto una battaglia esclusivamente in “trincea”, limitandosi a subire la linea politica imposta da Berlusconi invece di imporre una via propria e alternativa ai paradigmi della destra.

E ora? Qual sarà  il significato della “parola sinistra”? Quale identità presente e futura rivelerà?
È chiaro che senza nessun nemico esterno i partiti di sinistra saranno costretti a riprendere a produrre idee, nuove idee, e uscire dal suo immobilismo progettuale. Attenzione però a non cadere nel solito errore di immaginare che esistano facili scorciatoie per un processo lungo e doloroso. Non basta, come sono convinti in molti, svecchiare l’apparato dirigente e abbandonarsi al “ nuovismo” per produrre una nuova sinistra. Non bastano i giovani, i nuovi contenitori, ci vogliono gli ideali, i sogni, qualcosa capace di tirare fuori il paese dalle secche in cui si trova. C’è il bisogno di ricostruire una nuova architettura, con la consapevolezza che il tempo stringe dopo un ventennio perduto.

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