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3 Apr 2013

Modello made in Benelux: motivi e rischi

L’idea dei “tavoli degli esperti” esposta ieri da Napolitano per ricercare punti di contatto fra partiti distanti e perlopiù incompatibili può richiamare quanto accade in Belgio e Paesi Bassi, con la loro tradizione di coalizioni imprevedibili e mutevoli. In questi due paesi sono nel tempo sorte figure, mai in effetti costituzionalmente definite, e chiamate più o meno “informatori”. Le personalità prescelte per questo ruolo non agiscono con un mandato esplorativo o di presidente incaricato. Essi si dedicano invece a dipanare la sempre intricata matassa delle differenze programmatiche e, spesso, delle diffidenze di carattere etnico che dividono (per la verità crescentemente) i partiti belgi e le distanze confessionali o ideologiche tipiche della democrazia “a pilastri” dei Paesi Bassi. Il loro ruolo precede, insomma, quello del presidente incaricato, che entra in scena solo successivamente, ed è detto infatti “formatore”, ovvero figura che, grazie al lavoro dell’”informatore”, appunto “forma” il governo dedicandosi al bilancino dei ministeri e degli incarichi. In sostanza, quindi, la proverbiale lunghezza delle trattative è dovuta in quei paesi anche al susseguirsi di due fasi distinte di negoziato. La prima fase cerca di avere ragione dell’accentuato proliferare di formazioni partitiche tipica delle due democrazie: in Belgio lo sdoppiarsi di ogni famiglia politica (socialisti valloni e fiamminghi, liberali valloni e fiamminghi eccetera) nei Paesi Bassi l’emergere di nuovi nazional-populismi e di formazioni come per esempio gli animalisti e gli ambientalisti di sinistra.

Alcune riflessioni comparative con l’Italia sono possibili appena si tenga conto dell’estrazione dei personaggi che vengono prescelti. Nel caso belga e olandese si tratta non di gruppi tecnici bensì di “informatori” singoli,  che sono anzi politici di professione riconosciutamene carichi di esperienza. Questi, inoltre, svolgono il proprio lavoro in tavoli che non precedono la trattativa fra partiti, e che quindi tantomeno si pongono al di sopra di essi. Anzi: i colloqui in cui si cerca di facilitare le intese di contenuto sono appunto condotti dagli “informatori” insieme ai partiti che si ipotizza possano poi costituire un esecutivo. Si cerca insomma di facilitare, non di delegittimare, la nozione costituzionale per cui il governo spetta alle trattative post-elettorali fra partiti. Da noi ciò è additato superstiziosamente come una mostruosità.

Non solo: in sistemi politici come quelle qui menzionati, e come quelli scandinavi, il proporzionale indica una precisa concezione della democrazia, secondo cui i governi non sono il risultato di una concentrazione della sovranità politica come nei sistemi elettorali maggioritari, bensì soprattutto il centro di un’economia che si negozia in molti e diversi luoghi. Si possono tollerare un quadro frammentato come nel Benelux, o la frequenza di governi di minoranza come in Scandinavia se la democrazia, a cominciare dal governo dell’economia, è esercitata in molti luoghi (che non sono però certo la democrazia diretta del web). Ciò, nonostante quanto credono alcuni ideologi del sistema maggioritario, in realtà è fortemente stabilizzante. Ed è, non tanto paradossalmente,  soprattutto questo a spiegare come il Belgio sia rimasto senza danni per un anno privo di governo.

Nel nostro caso, viceversa, i “tavoli di esperti” giungono in un contesto in cui la democrazia diffusamente negoziata egemone in Europa (con al centro partiti nonostante tutto forti) è stata come minimo indebolita. Ad essa si è cercato di sostituire sistemi elettorali che concentrano sul momento elettorale/governativo la sovranità democratica. Occultando così i più fruttuosi caratteri delle democrazie occidentali di più indubbio successo (cui va aggiunta la Germania).

Il rischio è che, anziché prendere atto dei potenziali negativi del maggioritario riavvicinandoci all’Europa migliore, viceversa si potenzi l’effetto di emarginazione della politica, aggiungendo alle fallimentari ricette elettorali adottate dal 1993 anche “tavoli” che indicano ex ante una via a chi poi formerà il governo. Sottolineando il commissariamento della politica non si può che rafforzare la mentalità antipolitica.

Sebbene si possa essere certi che non sia questa l’intenzione del Presidente Napolitano, è bene essere chiari per sventare il consolidarsi di consuetudini potenzialmente dannose.

Da L’Unità del 31/03/2013

 

Scritto da

Paolo Borioni

- Storico, dottore di ricerca all'università di Copenaghen, collaboratore del Center for NordicStudies e dell'Università di Helsinki. Si occupa di storia dei paesi nordici, storia del socialismo, welfare state, storia delle istituzioni politiche, temi su cui ha all'attivo molte pubblicazioni e articoli. Contribuisce regolarmente alla stampa quotidiana e a riviste di dibattito politico-culturale. Tifoso della SSLazio 1900 da tre generazioni, di sinistra da quattro generazioni.