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20 Nov 2012

Quale alternativa all’austerità?

di Andrea Pisauro*

A quattro anni dall’inizio della crisi, tre dal suo “contagio” in Europa e il conseguente avvio della stagione “dell’austerità”, si sta pian piano affermando una consapevolezza diffusa del fatto che le ricette imposte ai paesi dell’area Euro dall’asse conservatore Bruxelles-Francoforte-Berlino non stanno affatto funzionando. Anzi, contribuiscono all’aggravarsi della situazione economica dei paesi periferici della zona Euro dove la disoccupazione continua a crescere e gli effetti della crisi vengono scontati quasi interamente dai ceti popolari.

Questa consapevolezza è arrivata a lambire templi sacri dell’ideologia neoliberista, come il Fondo Monetario Internazionale che arriva a riconoscere il devastante impatto dell’austerità sulla crescita, e riecheggia perfino nelle parole del Berlusconi che rivendica un suo veto sul “Fiscal Compact” ai tempi in cui era Presidente del Consiglio, attaccando Monti e la sua “recessione senza fine”. D’altronde, che il concetto di austerità espansiva (cioè benefica per l’economia) fosse debole sia sul piano teorico sia su quello pratico, era chiaro già da tempo agli economisti che, in Italia, piu’ di due anni fa scrissero una lettera aperta, rimasta inascoltata, che metteva in guardia dai pericoli di deflagrazione della zona Euro e aggravamento della crisi generati dall’austerità e a quelli che più recentemente, nell’ebook “Oltre l’austerità” pubblicato su micromega, hanno abbondantemente documentato il fallimento della strategia dei tagli, proponendo una molteplicità di importanti chiavi di lettura alternative.

D’altro canto questo mutamento di prospettiva non si è ancora tradotto in atti concreti se si considera che anche il recente piano di acquisti illimitati dei titoli di stato (OMT), varato a Settembre dalla BCE (il cosiddetto Bazooka) pur permettendo agli spread di Spagna e Italia di respirare un pochino, presenta numerose limitazioni (“forche caudine” per accedere al piano, che implicheranno sottostare a ulteriori pesanti imposizioni di austerità, e sterilizzazione degli acquisti di titoli) che non lasciano presagire nulla di buono per i prossimi mesi e rischiano solo di aver comprato un po’ di tempo.

Del resto, con l’approvazione del Fiscal Compact che subordina le scelte economiche nazionali al dogma del pareggio di bilancio e della riduzione a ritmi esasperati del rapporto debito/PIL, uscire dal tunnel dell’austerità è più facile a dirsi che a farsi, come ha dovuto constatare anche Hollande in Francia e come in generale è dimostrato dalle difficoltà dei partiti socialisti europei nell’offrire un’alternativa concreta ai tagli imposti dalla troika.

Il problema fondamentale è che la risposta alla crisi, che deriva per molti aspetti anche dalla struttura formale dell’unione monetaria e dai vincoli imposti a livello comunitario, non può prescindere da una strategia continentale e da riforme delle istituzioni europee.

Per questo il dibattito, anche e soprattutto a sinistra, si è concentrato su modifiche allo statuto e alla prassi della BCE, per estendere la sua linea di acquisti di titoli governativi oltre i confini stabiliti dai vari programmi d’intervento (Efsf/Esm e ora Omt). Queste proposte, che tentano di introdurre un ruolo per la BCE come “prestatore di ultima istanza” si sono accompagnate all’eterno dibattito sull’emissione di Eurobond che ha tenuto banco per mesi senza mai riuscire a superare il veto di Berlino, e da quello più circoscritto riguardante l’introduzione di Project Bonds legati a singoli progetti di sviluppo, fino alla proposta di usare la Banca Europea per gli Investimenti (EIB) per il lancio di un New Deal europeo che rilanci la crescita tramite gli investimenti.

L’iniezione di liquidità a garanzia del debito e a sostegno della crescita non sono state le uniche proposte di sinistra per superare la crisi. Un altro filone di misure ha riguardato proposte di tassazione delle rendite finanziarie (Tobin Tax) spesso arenatesi in infinite discussioni e sempre infrantesi sul veto britannico a difesa della City. Varie proposte di riforma del sistema bancario sono state avanzate attorno al pilastro della separazione tra banche commerciali e banche d’investimento per salvare le linee di credito all’economia reale dai rischi delle crisi finanziarie.

Più difficile aggredire le cause strutturali degli squilibri macroeconomici interni all’Eurozona. Per un decennio circa si è parlato di rendere più competitivi i paesi periferici, in particolare e non casualmente puntando sulla riduzione del costo del lavoro anziché sulle misure necessarie per accrescere la produttività. Analisi più recenti hanno puntato l’indice contro gli squilibri della bilancia dei pagamenti con l’estero dei paesi della zona dell’euro, come sorgente dei flussi di credito che hanno alimentato le bolle dei debiti pubblici e privati nei paesi della periferia. Proposte interessanti in questo senso hanno riguardato l’introduzione di standard retributivi che, in media in un dato paese, facciano crescere i salari in proporzione alla produttività, in modo da prevenire fenomeni di “dumping sociale” interni all’area dell’euro. Altre proposte hanno riguardato il coordinamento delle politiche macroeconomiche, che dovrebbero essere espansive nei paesi in surplus di bilancia dei pagamenti, e restrittive in quelli in deficit.

Se la strategia di uscita dalla crisi deve essere coordinata a livello europeo, l’Italia è ovviamente un tassello cruciale nel puzzle della costruzione di una politica alternativa all’austerity per superare la crisi, e decisivo sarà il ruolo del prossimo governo, a partire dai primi mesi del suo mandato. L’Italia potrebbe essere il perno decisivo di una coalizione progressista che metta definitivamente all’angolo le pretese egemoniche della Germania mercantilista. La domanda del “che fare?” è dunque di stringente attualità, a maggior ragione in uno scenario politico che vede tuttora come più probabile la prospettiva di un governo di centrosinistra nella prossima legislatura.

Il dibattito delle primarie del centrosinistra, tuttavia, non è ancora stato in grado di dirimere i nodi piu’ pressanti, anche perche’ sulla stessa interpretazione delle cause della crisi, nella coalizione sono presenti vari punti vista, con uno spettro di posizioni identificabili dal livello di “montismo” e dal sostegno ideologico offerto alla strategia dell’austerità.

Addirittura nel dibattito TV nessuno ha fatto menzione della possibilità di rinegoziare il Fiscal Compact e Renzi si è spinto a dire che anche solo parlarne metterebbe il paese in pericolo.

Del resto, il sindaco di Firenze e “l’ala destra” del PD sono più o meno compatti nel sostenere la linea di sacrifici mentre il versante sinistro del fronte bersaniano, guidato dal “socialdemocratico” Fassina, non perde occasione di ribadire la necessità di superare “da sinistra” l’esperienza del governo Monti. Tuttavia anche nella maggioranza bersaniana permangono intatte una serie di ambiguità quando si ribadisce continuamente fedeltà all’impianto degli accordi europei anche quando si usano gli accenti più critici nel giudicare l’ideologia neoliberale delle scelte a livello europeo. Viene inoltre ribadita la necessità di ridurre il debito pubblico, costi quel che costi, rifiutando di considerare l’obiettivo di una sua stabilizzazione e poche parole vengono spese riguardo a politiche industriali di orientamento dello sviluppo, mantenendo alta l’attenzione solo su politiche volte a fronteggiare l’emergenza finanziaria.

La stessa Carta d’intenti che istituisce e definisce i contorni programmatici delle primarie è tutto meno che chiara rispetto a come comportarsi rispetto ai “vincoli esterni” dei trattati europei e del giudizio dei mercati che rischiano di commissariare con grande anticipo qualunque speranza di cambiamento.

La candidatura di Nichi Vendola e più in generale la partecipazione di SEL alla coalizione di centrosinistra offrono un’occasione per quanti vogliano esprimere un’opzione di dissenso radicale dalle politiche recessive imposte a livello europeo e placidamente accettate dal governo dei “tecnici” e da buona parte del PD. Peraltro, la partita per ribaltare l’austerità si gioca tanto in casa, nello spostare più a sinistra l’asse della coalizione, che in trasferta, costruendo a livello europeo un serio gioco di squadra con i partiti socialisti e socialdemocratici per un ribaltamento del retroterra cuturale su cui poggiano le politiche recessive imposte dalla BCE.

Ed è proprio nel rapporto con l’Europa che il centrosinistra italiano sconta i suoi limiti peggiori, con il PD che sfugge non solo formalmente all’adesione al socialismo europeo, laddove la sua analisi della crisi è viziata da ritardi e contraddizioni che ne minano la credibilità in termini di proposta d’alternativa e non contribuiscono a capire quali saranno poi le scelte di fondo di un eventuale governo di centrosinistra.

E’ dunque urgente e necessaria una discussione franca e concreta sulle linee guida della politica economica della coalizione di centrosinistra. Per evitare di perdere anche questa occasione e rimandare la discussione su nodi cruciali a più ristretti consessi di anguste segreterie di partito, occorre uno sforzo ora, anche da parte della società. Con questo spirito, il circolo Radio Londra di Sinistra Ecologia e Libertà sta organizzando per il prossimo 14 dicembre a Londra una giornata di riflessione sulle proposte di politica economica che potrebbero caratterizzare in modo chiaro un’agenda alternativa all’austerity per il prossimo governo di centrosinistra (incrociando le dita). Il dibattito è aperto. Non lasciamolo cadere.

*Andrea Pisauro

vicecoordinatore SEL UK

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Scritto da

Redazione LPP

- Redazione de La Prima Pietra