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Il corteo…domani

di Fulvio Tudisco.
Internet, si sa, ha cambiato radicalmente il nostro modo di comunicare. Basta un buon pc e una connessione, possibilmente veloce, per aprire a tutti le porte del mondo. Nell’era della comunicazione di massa, tutto si muove a velocità incredibile.  Si possono macinare idee, dibatti e informazioni, leggere giornali, vedere immagini provenienti dai più sperduti angoli del mondo. Facebook e Twitter, oltre ai numerosi blog, hanno permesso ai giornalisti di avere accesso ad una mole immensa di fonti. Per i giovani la Rete è la piattaforma di dibattito e di mobilitazione per eccellenza dove  si può agire e organizzarsi velocemente: in due minuti, con l’ausilio di un social network e di un cellulare, si possono pianificare cortei improvvisati, manifestazioni o assemblee.
Questa realtà, viva ma colpevolmente ignorata dai media tradizionali, è all’istante  balzata agli onori della cronaca con il fiorire improvviso delle primavere arabe. Quasi cadendo dalla proverbiale nuvola, tutti si sono accorti che le nuove generazioni, oltre che a giocare e a chattare, utilizzano le nuove tecnologie anche per fare quello che avevano fatto i loro padri, ovvero per confrontarsi e cercare di cambiare il mondo. Insomma Internet al posto delle vecchie sezioni, i blog come i bar.
Come spesso accade ai fenomeni all’apparenza nuovi, la prima reazione è stata quella di etichettarli con preconcetti, cercandoli di ridurli ad un già visto. Così la Rete è stata salutata dagli ottimisti come lo strumento che sancirà la morte definiva dei vecchi partiti e inaugurerà una nuova fase di partecipazione democratica che avverrà quasi esclusivamente in via telematica. Per i pessimisti invece i rivoluzionari 2.0, dal nome della nuova fase di internet, non sono altro che “rivoluzionari da salotto”, lontani anni luce da quelli che manifestavano nelle piazze trenta o quarant’anni fa.
Ovviamente a pochi è venuto in mente che la Rete non è altro che uno mezzo e che i cambiamenti sono prodotti dagli uomini.  Ancora di meno hanno cercato di capire chi sono quelli che animano i cortei in piazza Thair, a Zuccotti Park o  a Roma e a Madrid.
Ma cosa hanno in comune tutti questi giovani che protestano? All’apparenza poco, ma in realtà molto. Certo, le loro esigenze e le loro speranze sono diverse. Alcuni sono nati nelle società del benessere e della libertà, altri sono cresciuti sognando di essere liberi. Tutti condividono però, oltre al linguaggio comune e spesso all’alto livello d’istruzione, qualcosa di universale: il bisogno di essere messi alla prova per cercare di cambiare in meglio la società in cui vivono, la voglia di  discutere, manifestare, lottare e opporsi. Come i loro genitori, e in alcuni casi come i loro nonni, ambiscono a ritagliarsi uno spazio, anche commettendo errori, per cambiare il mondo o magari sperimentare anche loro il sapore amaro del fallimento. Quello che li differenzia dalle generazioni passate è la mancanza di un’ ideologia, di un filo conduttore, capace di dare forma e sostanza alle loro speranze. Come monadi si aggirano alla ricerca di risposte, partecipando a proteste isolate che a volte sono solo “contro”. Questo fenomeno è evidente soprattutto nei cortei italiani dove per molti, figli del dopo tangentopoli, la politica e le ideologie sono residui infamanti dello scorso millennio che non devono “sporcare” un movimento spontaneo, e quindi puro. Anzi,  la scomparsa dell’intero sistema della rappresentanza partitica sarebbe non solo qualcosa di auspicabile, ma persino una vera liberazione da un intralcio che impedisce il miglioramento della società.
A questo punto due sono gli scenari possibili: o queste energie porteranno ad un rifiuto assoluto dell’idea stessa di politica e di democrazia, e non solo per come sono concepite e praticate in molti paesi, aprendo il fianco involontariamente a derive autoritarie e tecnocratiche, oppure riusciranno finalmente a cambiare le cose. Ovviamente se si avvererà la prima ipotesi assisteremo ancora una volta alla vittoria delle forze reazionarie. Viceversa, se le proteste per ora spontanee e variegate troveranno una visione comune o perchè no un’ideologia, se i giovani “di oggi” riusciranno non solo ad essere contro, ma anche a immaginare e a costruire un nuovo socialismo che possa contrapporsi efficacemente al capitalismo imperante,  nell’era della comunicazione di massa il cambiamento sarà veramente inarrestabile.

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