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Il corteo…oggi

di Riccardo Colicchio.
Il tempo muta le forme ed i contenuti, ma il bisogno dell’essere umano di manifestare il proprio consenso o dissenso verso le circostanze della vita, per fortuna, sembra non appassire mai. Viviamo giorni in cui è in atto una lotta più o meno silenziosa tendente alla ricerca di un nuovo equilibrio.  Si scontrano da un lato, i vecchi consolidamenti di potere che cercano ogni via per mantenere intatto il proprio posizionamento  e, dall’altro, nuove istanze, nuove prospettive che vogliono approfittare del momento di frattura per operare un definitivo cambiamento. Questa battaglia non si combatte più soltanto attraverso le forme di lotta tradizionali. Subito viene da pensare alla tecnologia e alle nuove forme di comunicazione e, dunque, al ruolo di questi due protagonisti nella possibilità di promuovere le istanze del popolo. A frequentare i social network, appaiono evidenti le manifestazioni quotidianamente ospitate sulle piattaforme comunicative.  Facebook e Twitter, scelti tra i più noti, sono i luoghi dove ognuno di noi, singolarmente o in appartenenza ad una collettività più o meno ristretta, si esprime manifestando il proprio dissenso, il proprio consenso, formulando proposte. Ci si confronta, ci si organizza, ci si scontra, ma intanto si manifesta la propria necessità di cambiamento, di rivoluzione o di reazione. Qualcuno direbbe che in realtà sono solo nuovi luoghi di aggregazione, ma come sottovalutare gli input, le proposte, i pensieri, i proclami, le rivendicazioni che ognuno di noi lancia nel libero territorio della rete. Non è manifestare questo? Non è pari a salire su un gradino di una piazza per urlare indispensabilmente un bisogno che si agita dentro di noi? E dunque sia, manifestiamo ogni giorno; eppure a pensarla così emerge chiaro il limite che spesso può definire il territorio di questo manifestare, soprattutto in termini di risultati della “protesta”. Molto spesso il corso di un “corteo virtuale” è andato oltre la semplice urgenza di espressione della propria opinione, mettendo in crisi pezzi importanti di un apparato di potere fino a costringerli ad arretrare. E’ il caso recente, ad esempio, del Ministro degli Esteri inglese Liam Fox, costretto alle dimissioni dopo le proteste on web a causa delle sue amicizie ingombranti, frequentate in sedi istituzionali. Non è manifestare questo? Non è pari allo scendere in piazza armati di strumenti sonori per esprimere la propria rabbia? Altre volte, però, il web costituisce il luogo dove agonizza la nostra sana rabbia, fino a spegnersi. Da seduti manifestiamo la nostra insoddisfazione in rete, convinti di aver dato parola alle nostre istanze, accorgendoci più tardi, però, che il potere di quelle rivendicazioni si è spento tra le migliaia di post  liberati nelle piattaforme. E invece tutto rischia di rimanere imprigionato, senza diventare veramente seme del cambiamento.  Ciò è peraltro evidente nella realtà delle cose, ovvero nelle forme classiche del manifestare che per fortuna continuano ad animare le piazze e le strade del mondo. Tralasciamo i moti di piazza mediorientali e nordafricani. La storia poi ci dirà se sono state ribellioni spontanee a regimi oppressori o eterodirette per ragioni geopolitiche. Al momento, sul punto, poniamo in risalto solo la potenza propulsiva dei nuovi mezzi di comunicazione in termini di rapidità e amplificazione delle istanze di ribellione. Concentriamo invece la nostra attenzione sulle manifestazioni che si sono svolte ultimamente in Italia e si continuano a svolgere nel resto dell’occidente capitalista. A Roma il 15 ottobre è andata in scena una delle pagine più fallimentari dei cortei di protesta. Una manifestazione di “Indignati” nata spontaneamente in rete si è tramutata in una calca di persone disorganizzate preda di pochi manifestanti violenti. Al di là delle analisi sociologiche e politiche dei disordini scoppiati, agli occhi di chi scrive è apparsa chiara l’assoluta mancanza di organizzazione ed efficacia di quel corteo. Per le vie della capitale hanno sfilato migliaia di anime diverse e pacifiche, portatrici di molteplici istanze, ma tenute insieme soltanto da una sana rabbia. Questo dunque è il senso del manifestare oggi? Accorrere ad una chiamata di piazza per portare in gita la propria insoddisfazione? A pensarla così si finisce per non riuscire a fornire risposta a chi si chiede cosa vogliano questi movimenti.  Allora forse il senso del manifestare oggi si nutre ancora di quelle esperienze che, senza soluzione di continuità, proseguono in piazza sotto la bandiera di un partito o di una organizzazione sindacale. Eppure siamo ancora lontani, a nostro parere. Anche perché, sebbene resta il sacrosanto diritto di esprimere in piazza la propria opinione, i centri di potere verso cui tale dissenso è diretto hanno ormai sviluppato tutti gli antidoti necessari a rendere inoffensive le aggregazioni di piazza. E’ una questione di esperienza storica, fatta anche di sporche attività di delegittimazione, ma intanto il corteo che scende in strada è più un’occasione di costume che un pericolo per il potere costituito. Eppure qualcosa di nuovo si annusa in questa aria di “rivoluzione”; da qualche parte il manifestare si è rinnovato sino a diventare efficace, sino ad intimorire l’obiettivo verso cui si dirige, sino ad essere effettivamente occasione di cambiamento. Allora volgiamo il nostro sguardo verso le coste iberiche e nordamericane. Nelle esperienze degli Indignados spagnoli e del “occupy” americano salta dirompente agli occhi una nuova forma di protesta, la permanenza. Restare in piazza per giorni, piuttosto che esaurirsi in un corteo mattutino, non è soltanto una strategia per rendere efficace la protesta. E’ qualcosa di più profondo che impaurisce chi difende le posizioni di potere. E’ il momento in cui può riuscire la saldatura del binomio consapevolezza – protesta. La piazza dunque diventa il luogo ove quella necessità di espressione che ogni giorno si propaga nel web si incontra, si confronta e si traduce in istanza consapevole, che allo stesso tempo si manifesta unita. L’elemento nuovo del manifestare oggi non è la presenza fisica in piazza, ma sono le assemblee permanenti, i gruppi di studio, i documenti collettivi che animano quella piazza. E’ la necessità dunque di stabilire in maniera collettiva i principi sulla base del quale operare il cambiamento. A ben guardare l’elemento nuovo è solo erede delle occupazioni delle università, delle scuole, delle fabbriche che hanno caratterizzato gli anni politici ferventi del secolo scorso. Eppure la novità è evidente nella dimensione collettiva, nell’urgenza collettiva di comprendere e proporre prima ancora di manifestare. Mettiamola così, forse manifestare oggi non ha caratteri essenzialmente nuovi e diversi, tuttavia porta con se un ‘efficacia ed un messaggio che si era assopito. La partecipazione non è morta ed è così urgente la sua declinazione che spinge migliaia di essere umani a manifestare per partecipare, perché intanto i luoghi che credevamo  contenitori di partecipazione, si sono dimostrati effimeri custodi della sua lenta agonia. Tutto qui dunque e…bentornata partecipazione!

Scritto da

Riccardo Colicchio

- In equilibrio tra diritti e note musicali, mi appassiona la costante ricerca di un punto di incontro tra anime diverse. Un esercizio che appartiene prima di tutto al mondo interiore, ma che allena alla costruzione di una società armonica e democratica, patria di tutte le diverse anime che la abitano. Ed intanto imparo a dialogare con gli innumerevoli volti della verità!