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Guerre liquide. Le contraddizioni della demagogia sulla distribuzione dell’acqua.

di Marianna Panico.

Finalmente a Napoli emerge tutta la contraddizione della demagogia fatta fin’ora sull’acqua pubblica dei comitati civici, referendari e politici oltranzisti.
De Magistris e la sua amministrazione prevedono, a Napoli, l’installazione di fontanelle pubbliche di acqua liscia, gassata, naturizzata, a temperatura ambiente o fredda, con gettoniera, e, la prima di questi “fontanelli” prodotti da una ditta toscana, è visibile a piazza Municipio, davanti a Palazzo San Giacomo, proprio in questi giorni.
Evidentemente si è consci che la distribuzione dell’acqua ha dei costi, a partire dalla stessa installazione della fontanella, ed è giusto ed equo che questi costi invece di ricadere su tutta la comunità, siano semplicemente a carico di chi quell’acqua la userà. Quindi il gettone. Chi usufruisce di un servizio lo paga. Semplice. Mica tanto quando riguarda la distribuzione dell’acqua.
Fin dall’attuazione della Legge Galli, che istituiva in Italia il servizio idrico integrato su principi di salvaguardia dell’ambiente, tutela della risorsa idrica e solidarietà regionale sulla diversa disponibilità idrogeologia dell’acqua, con l’obiettivo dell’estensione degli acquedotti in tutt’Italia e dello sviluppo di fognatura e depurazione, il dibattito sulla gestione dell’acqua è stato accesissimo, e tra soloni e professori, missionari e cittadini, tutti a dire che l’acqua è un bene fondamentale e non va toccato.
Perfetto. Ma il servizio andava oggettivamente migliorato. 8.000 acquedotti municipali non producevano economicità né assicuravano l’estensione del servizio. 8.000 Comuni non si prepccupavano di investire nella raccolta e trattamento delle acque reflue, trascurandole fino al punto di avere il colera a Napoli nel ‘63 (qualcuno vocifera che ci siano ancora casi diagnosticati al pronto soccorso del Cardarelli, ma non divulgati per non allarmare la popolazione) e l’inquinamento delle falde sotterranee e del Golfo di Napoli tutt’ora, per rimanere in Campania.
Lo Stato, all’indomani di Tangentopoli, aveva analizzato bene la situazione del settore, ed era arrivato alla conclusione che un servizio efficiente aveva bisogno di investimenti, di soldi, detto in soldoni e che questi soldi non si potevano chiedere ai cittadini, ma ai privati rendendo economicamente interessante l’acquisizione del servizio (remunerazione del capitale investito), compatibilmente con il potere d’acquisto delle famiglie (tariffe agevolate) nella tutela del bene comune e dello sviluppo sociale prevedendo l’approvazione il piano economico finanziario della società di gestione dal collegio dei Sindaci ( controllo pubblico) interessati. Un disegno perfetto che produsse una legge quadro illuminata, appunto, la n. 36/94. Oggi questi principi li abbiamo abrogati con il referendum. Oggi mettiamo le fontanelle pubbliche a gettone perché oggettivamente l’acqua prima della spinta piezometrica corre con la spinta finanziaria.
Le prime fontanelle pubbliche a pagamento io le ho viste nel 2007 a Ouagadougou in Burkina Faso, Rimasi inorridita. Il governo burkinabè, proprietario dell’acquedotto nazionale, in assenza della possibilità di infrastrutturare le città e i villaggi, poverissimi e senza abitazioni né latrine, aveva pensato bene di fermare gli acquedotti alle piazze con fontanelle a pagamento, chiamate “bornes fontaines”. Pagamento naturalmente cash e costi equiparabili a quelli europei, fino ad un euro a metrocubo. Con due conseguenze immediate, di abbattere a zero un eventuale morosità e avere guadagni elevati a fronte di nessun investimento. Le conseguenze peggiori sono quelle a carico dell’”utente/cliente”, che non potrà mai avere acqua potabile a disposizione, perché, laddove clorata alla fontana, messa in contenitori propri, l’acqua si contamina in 24 ore, con danni alla salute pubblica inenarrabili a carico di donne, bambini ed anziani. Un’acqua pagata a caro prezzo che diventa fonte di malattie. Evidentemente le bornes fontaines, impediscono di fatto l’accesso all’acqua a tutti e attentano al diritto universale alla vita. Un sistema assassino la cui mano armata è l’ignoranza in cui versa la popolazione con il 90% di analfabetismo.
Il servizio idrico integrato è modernità e sviluppo, apporta progresso e tutela la salute pubblica e garantisce l’ambiente dall’inquinamento antropico. Il suo problema non sono le tariffe quale strumento di sostenibilità, ma a quanto esse ammontano. Le tariffe in Italia crescono non perché il servizio è caro di per sé o perché i privati rincarano per lucrare indebitamente.
In Italia le tariffe crescono perché l’attuazione del servizio idrico integrato si ammala gravemente, devastato dalla politica locale che trasforma i gestori idrici in carrozzoni per le assunzioni clientelari, dai partiti che trasformano i consigli d’amministrazioni in succursali di cooptazione e di potere, dai sindaci che lo usano per le proprie campagne elettorali, perché è cannibalizzato dalla criminalità organizzata, camorra, mafia, ‘ndragheta, piuttosto che la sacra corona unita, che lucrano con gli appalti dei lavori pubblici e dei servizi accessori, perché è sfregiato dall’illegalità diffusa degli allacci abusivi che sottraggono indebitamente acqua.
La tariffa è l’ultimo elemento del servizio idrico, essa è la sintesi di processo industriale. Se non ci piace perché è troppo cara, il problema non è la legge che la istituisce o l’idea di integrazione dei servizi idrici e l’affidamento ai privati. In Italia la riforma non decolla perché il s.i.i.. si innesta su un tessuto sociale-politico-economico malato. E da lì che bisogna ripartire per attuare finalmente la riforma.
L’Italia del futuro ha bisogno di cittadini moderni, istruiti, informati, consapevoli, coscienziosi e critici.

Scritto da

Redazione LPP

- Redazione de La Prima Pietra